Cop26: l’India sotto accusa, ma c’è la regia di Cina e Usa

Il palco della Conferenza Onu sul clima Cop26. (ANSA)
Il palco della Conferenza Onu sul clima Cop26. Archivio. (ANSA)

ROMA. – “Ridurre” e non “abbandonare” il carbone, “phase down” invece di “phase out”. La firma in calce all’emendamento che ha (ulteriormente) annacquato le ambizioni della Cop26 è dell’India, che in extremis ha preso in mano il testo dell’accordo finale per cambiare una parola da cui dipendevano miliardi di dollari di costi per una riconversione globale.

Ma ben prima dello strappo last minute, il compromesso al ribasso era già stato avallato dagli altri due principali inquinatori mondiali, Cina e Stati Uniti, che nel loro accordo bilaterale, raggiunto a pochi giorni dal summit virtuale tra i presidenti Xi Jinping e Joe Biden, hanno sì promesso di “potenziare l’azione sul clima”, ma passando proprio per quella via graduale per cui Nuova Delhi è finita sul banco degli imputati.

“Devi ridurre il carbone prima di potere eliminare il carbone”, aveva spiegato l’inviato Usa John Kerry, presentando mercoledì l’intesa con Pechino. Una linea confermata dai negoziatori americani anche prima della convulsa sessione plenaria che ha chiuso il vertice di Glasgow, secondo quanto ricostruito da Bloomberg. Più sibillina, anche la Cina aveva fatto intuire la sua linea, poi seguita nello sprint finale targato Delhi.

“Urlare slogan potrebbe provocare impatti negativi non necessari sul cammino. Potrebbe essere come strappare i germogli per farli crescere”, ha detto alla vigilia del voto finale il suo negoziatore Li Zheng, citando un proverbio cinese. “Demonizzare i combustibili fossili – aveva aggiunto l’inviato di Pechino – ci farà solo del male”.

Ma l’opposizione indiana ha avuto diversi altri sponsor di peso, ciascuno con un proprio movente: dall’Iran, che lamentava di non poter fare di più per le sanzioni, all’Australia, accusata di “nascondersi dietro altri”. Con il passare delle ore, del resto, anche molti osservatori hanno puntato esplicitamente il dito contro i potenti che si sono fatti scudo dell’India.

Come Brandon Wu, direttore delle politiche e delle campagne di Action Aid Usa: “Qui – ha scritto su Twitter – è molto importante vedere il contesto generale. Il problema non è l’India; il problema sono gli Stati Uniti e i Paesi ricchi che si rifiutano di fissare l’uscita dai combustibili fossili nel contesto di un’equità globale”. Sotto accusa, in questo caso, ci sono gli aiuti negati ai Paesi in via di sviluppo, senza i quali la transizione ecologica rischia di restare solo una promessa.

(di Cristoforo Spinella/ANSA)

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