Sprint finale alla Cop26, ma Cina e Russia frenano

Un attivista a Glasgow indossa una maschera durante una manifestazione durante la COP26. (ANSA)

GLASGOW.  – Il rush finale è cominciato. La Cop26 vuole chiudere con un risultato storico, una serie di impegni dei paesi per tenere il riscaldamento globale sotto 1 grado e mezzo. Ma la strada è in salita. Prima del rush notturno i dossier più spinosi erano ancora aperti: su mercato del carbonio, trasparenza e Paris Rulebook un accordo non c’era.

La presidenza britannica vuole arrivare con un documento definitivo, per farlo approvare nella notte. Ma Cina e Russia contestano l’ultima bozza diffusa stamani, e i giochi sono ancora aperti.

La giornata a Glasgow è cominciata alle 7:13 con la pubblicazione della seconda bozza del documento finale, con le osservazioni fatte ieri dai ministri dei paesi partecipanti.

Rimangono l’obiettivo di stare sotto 1,5 gradi, il taglio del 45% delle emissioni al 2030 rispetto al 2010, e zero emissioni nette intorno alla metà del secolo. Rimane anche l’impegno ad aggiornare nuovamente gli impegni di decarnbonizzazione entro la fine del 2022.

Di nuovo c’è che il documento sollecita i paesi ricchi a mraddoppiare entro il 2025 i fondi per gli aiuti ai paesi più vulnerabili, Tuttavia, dalla seconda bozza sparisce il termine del 2023 per istituire il fondo di aiuti da 100 miliardi all’anno. Il fondo va fatto, ma nessuno si prende impegni troppo stretti.

Ma i problemi veri sono altri. Nella seconda bozza, i paragrafi su Paris Rulebook e trasparenza sono vuoti. Il primo è l’insieme di regole per mettere in pratica l’Accordo di Parigi, mil secondo è il “reporting format”, cioè le norme comuni con le mquali gli stati comunicano i progressi fatti nella decarbonizzazione.

Non sono questioni tecniche e secondarie. Le regole per decarbonizzare pongono vincoli stringenti agli stati. Per Usa e Ue, che hanno le tecnologie per le energie pulite, non è un problema porsi obiettivi rigidi. Anzi, è un incentivo alla riconversione industriale verde. Ma per un paese emergente come la Cina, o uno che vive di idrocarburi come la Russia, norme di decarbonizzazione troppo dure sono un danno economico.

E poi c’è il dossier dell’articolo 6 dell’Accordo di Parigi, quello che prevede il mercato globale del carbonio. In pratica, una tassazione delle emissioni, come l’Ets della Ue, con la possibilità per chi emette meno di vendere le sue quote di emissioni a chi emette di più.

Nell’assemblea plenaria del pomeriggio, le differenze fra i paesi emergono chiare. Frans Timmermans per la Ue e John Kerry per gli Usa difendono punto per punto la bozza diffusa in mattinata, e chiedono di chiudere sui tre dossier ancora aperti. Russia e Cina rispondono che sui tre punti, come pure sul taglio delle emissioni, non c’è accordo: è necessario trattare ancora.

Nel mezzo stanno i paesi più vulnerabili, quelli che soffrono di più le conseguenze del cambiamento climatico. Dalle Maldive al Kenya, dal Messico a Tuvalu, chiedono tutti un accordo ambizioso ed efficace. Per loro, sforare il limite di 1,5 gradi vuol dire desertificazione, cicloni, inondazioni. E tanti, tanti morti.

“É urgente aumentare i finanziamenti per la mitigazione e l’adattamento” al cambiamento climatico nei paesi più vulnerabili, dice la rappresentante dell’India. Poi “esprime profonda delusione per lo stato di avanzamento sulla finanza climatica”.

Il presidente della Cop, Alok Sharma,  annuncia una nuova plenaria in serata. “Spero di portare testi definitivi e arrivare all’adozione nella notte”, dice. Boris Johnson, che vuole a tutti i costi un successo della “sua” Cop, chiede ai paesi ricchi di “mettere i soldi sul tavolo” per arrivare a un accordo. Frans Timmermans, vecchio saggio della Ue, fa una  revisione ragionevole: “Possiamo arrivare oggi o domani” a un compromesso sul Regolamento dell’Accordo di Parigi. “Ma a quel punto – aggiunge – il lavoro è soltanto all’inizio”, e “abbiamo un anno per metterci in pari”.

(di Stefano Secondino/ANSA)

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