Salvini alla Lega: “Ascolto ma decido io”. E’ tregua

Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti, segretario e vice-segretario della Lega
Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti, segretario e vice-segretario della Lega ANSA/ETTORE FERRARI

ROMA. – La resa dei conti nella Lega è partita con una sorta di tregua armata in attesa dell’assemblea di dicembre. Il primo round lo vince duque Matteo Salvini mettendo in riga i ‘ribelli’. In primis il suo vice, Giancarlo Giorgetti. “Io ascolto tutti e decido, come sono solito fare sempre”, annuncia il segretario arrivando alla Camera per il consiglio federale del partito, convocato 24 ore prima.

In una sala Salvadori blindatissima e assolutamente off limits a quasi chiunque, il “capitano” parla per 50 minuti. E rimarca l’esigenza di essere compatti e stare sui fatti. “Mi interessa parlare di flat tax o bonus ai genitori separati. Mi appassionano i temi concreti. Non altro”, insiste. Convinto che “la visione della Lega è vincente”. Poi, come fa sapere il partito, tutti – compreso Giorgetti – esprimono “totale fiducia nell’attività, nella visione e nella strategia del leader”.

Oltre ai due duellanti, alla riunione ci sono il terzo vicesegretario Lorenzo Fontana, i capigruppo di Camera e Senato e i commissari regionali. Collegati in video i governatori, da Zaia a Fedriga. Per il leader comunque l’obiettivo sembra centrato: ribadire a tutti che la linea del partito di via Bellerio la dà lui, non altri. Dalle tasse al lavoro, che si vuole difendere nella manovra, fino al neogruppo sovranista da costruirsi in Europa.

Parola d’ordine è ora zittire ogni rumor di divisioni e crepe interne. Anzi, dopo le ultime uscite molto dure di Giorgetti, al limite del grottesco con il paragone con Bud Spencer, è necessario stoppare subito la corrente ‘governista’ che continua a prendere le distanze, bacchettando la linea di ‘lotta’ che Salvini alterna a quella di governo.

Il risultato è dunque la tregua armata che dovrebbe durare un mese o poco più, fino a quando nell’assemblea programmatica prevista l’11 e 12 dicembre ( con parlamentari, governatori, sindaci, esponenti di governo ed eurodeputati), non si tireranno le fila sulla linea strategica del partito. Salvini la definisce un’occasione per “sancire, aggiornare e decidere i binari su cui viaggiamo”.

Scontro congelato ma tensione alta, nonostante le apparenze. Sembra fare spallucce il ministro dello Sviluppo economico che tre ore prima, al Senato per il question time, si limita a dire che non sa cosa succederà. Poi sdrammatizza citando la sua anima lombarda: “Oggi per me è solo San Carlo, che è la cosa più importante” alias quel San Carlo Borromeo che è patrono della Lombardia.

Per essere al consiglio, il numero due della Lega rinuncia alla presentazione del libro di Maurizio Molinari, alla stessa ora. Ma non arriva a Montecitorio insieme a Salvini (che entra con l’altro vice Andrea Crippa), bensì da un ingresso secondario, direttamente da Palazzo Chigi dopo il Consiglio dei ministri.

Sminuisce le tensioni pure l’alleata Giorgia Meloni, che non entra nel dettaglio delle beghe altrui ma ammette: “Non credo abbia ripercussioni sull’unità del centrodestra”, dice la leader di Fratelli d’Italia. Al di là dei ‘panni sporchi da lavare’, il consiglio discute soprattutto di manovra e il massimo impegno sul taglio delle tasse: “9 miliardi per regalare redditi di cittadinanza a furbi ed evasori non è rispettoso per chi fatica e lavora – arringa i suoi Salvini – interverremo in Aula per dirottare sul taglio delle tasse una parte di quei miliardi”.

E ammonisce pure sull’Europa: “Il Ppe non è mai stato così debole, è impensabile entrare nel Partito popolare anche perché è subalterno alla sinistra. E noi siamo alternativi alla sinistra”. Come a dire che la strada tracciata insieme al premier ungherese Viktor Orban e al polacco Mateusz Morawiecki è segnata. Ed è sicuramente distante da quella suggerita da Giorgetti.

(di Michela Suglia/ANSA)

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