“La blogger cinese in carcere per Wuhan in fin di vita”

Un attivista sostiene dei cartelli di richiesta di libertá per la blogger e giornalista civile Zhang Zhan . ANSA/ EPA/MIGUEL CANDELA

ROMA.  – “Non credo che vivrà molto a lungo. Se non riuscirà a superare il prossimo inverno, spero che il mondo la ricorderà com’era una volta”. Dopo 16 mesi di sciopero della fame contro il suo arresto, seguito alle denunce sulla cattiva gestione della pandemia in Cina, sembra ora appesa a un filo la vita dell’attivista e blogger Zhang Zhan. In un post su Twitter, il fratello Zhang Ju ha lanciato il disperato allarme.

E sempre più preoccupanti sono le notizie sulle sue condizioni di salute che giungono dal carcere di Shangai, dove la giornalista ed ex avvocata 38enne è rinchiusa per una condanna a quattro anni per aver “seminato discordia e causato problemi” in un processo durato solo tre ore e definito da Amnesty International una farsa. “Rischia di morire se non viene rilasciata urgentemente per ricevere cure mediche”, avverte anche l’ong.

All’esplosione della pandemia, nel febbraio 2020, Zhan si era recata a Wuhan per raccogliere notizie e per prima aveva denunciato l’emergenza sanitaria legata al Covid-19, che ancora le autorità attribuivano a una “polmonite misteriosa”, postando messaggi sui social network in cui denunciava gli arresti di reporter indipendenti e le pressioni di Pechino per indurre al silenzio le famiglie dei malati. Dal successivo mese di maggio non si erano più avute sue notizie, finché non si è appreso dell’arresto.

“Nel giugno 2020, Zhang Zhan ha iniziato uno sciopero della fame per protestare contro la sua detenzione. A dicembre era così debole che ha dovuto partecipare al processo su una sedia a rotelle”, denuncia Amnesty. “Prima del processo, le autorità l’hanno alimentata forzatamente, tenendola legata per giorni interi per impedirle di rimuovere il sondino. É stata tenuta in catene e con le mani legate 24 ore al giorno per più di tre mesi come punizione per il suo sciopero della fame”, afferma ancora l’ong.

Dalla fine del processo, l’attivista non può parlare con l’avvocato né incontrare i familiari, con i quali le sono concessi solo rari contatti telefonici sotto sorveglianza, e avrebbe anche subito maltrattamenti. Il 31 luglio scorso la blogger era stata ricoverata per 11 giorni in ospedale per una grave malnutrizione, ma poi riportata in prigione, dove sta continuando un parziale sciopero della fame. La sua salute, avverte ancora Amnesty, “continua a peggiorare a un ritmo drammatico”.

A sostegno di Zhan si erano già schierate a settembre con un appello congiunto 45 ong, sollecitando il presidente cinese Xi Jinping ad annullare la condanna e rilasciarla “prima che sia troppo tardi”. E come lei, almeno altri 10 attivisti per la libertà di stampa detenuti in Cina rischierebbero di morire, dopo che a febbraio il reporter Kunchok Jinpa, esperto di Tibet, è deceduto in carcere a 51 anni per i maltrattamenti subiti.

Attualmente 177esima su 180 Paesi nella graduatoria della libertà di stampa di Reporters sans Frontières, la Cina è anche la più grande prigione al mondo per giornalisti, con 122 cronisti dietro le sbarre. Nel 2017 erano già morti durante la detenzione il premio Nobel per la Pace Liu Xiaobo e il blogger dissidente Yang Tongyan, entrambi malati di tumore per cui non avevano ricevuto le cure.

(di Cristoforo Spinella/ANSA).

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