Hong Kong: condannati altri 7 attivisti pro-democrazia

Polizziotti cinesi vigilano l'ingresso del tribunale Kowloon di Hong kong.
Polizziotti cinesi vigilano l'ingresso del tribunale Kowloon di Hong kong. ANSA/ EPA/MIGUEL CANDELA

PECHINO.  – La stretta sul fronte pro-democrazia e dei diritti di Hong Kong procede spedita e senza soste con nuove condanne, quando a Taiwan, ultimo baluardo libero dove si parla il mandarino, sale l’allarme per la Cina che sta intensificando le capacità militari in caso di confronto armato con l’isola, grazie a forze armate capaci di “paralizzare” le difese di Taipei, monitorandone gli schieramenti.

Sette attivisti sono gli ultimi in ordine temporale a essere stati condannati nell’ ex colonia britannica a pene tra gli 11 e i 16 mesi di carcere per il ruolo avuto in una manifestazione non autorizzata nel culmine delle proteste antigovernative del 2019.

Tra i nomi più noti, Figo Chan, fondatore del Civil Human Rights Front (il gruppo dei grandi cortei di massa ormai sciolto), Raphael Wong e Avery Ng (Lega dei socialdemocratici) e gli ex deputati Cyd Ho, Yeung Sum, Albert Ho e Leung Kwok-hung, noto come “Long Hair”.

Tutti si erano dichiarati colpevoli delle accuse contestate a vario titolo, tra cui organizzazione e incitamento  a prendere parte a un evento illegale del 20 ottobre 2019, al fine di ottenere uno sconto di pena. Tranne Raphael Wong, tutti gli imputati sono in carcere per altri casi legati sempre a manifestazioni illegali.

Le condanne sono le ultime in relazione alle proteste antigovernative del 2019, innescate dal rafforzamento del controllo di Pechino sull’ex colonia britannica, a cui erano state promesse ampie libertà quando fu restituita da Londra nel 1997.

A giugno 2020, la Cina ha imposto una legge sulla sicurezza nazionale che, per i più  critici, ha lo scopo di reprimere il dissenso, secondo una lettura negata dalle autorità di Pechino e di Hong Kong. Tuttavia, in 14 mesi, 143 persone sono state considerate una minaccia alla sicurezza nazionale, 84  delle quali formalmente incriminate.

Lo spazio per le voci dell’opposizione si sta “restringendo. Speriamo che tutti capiscano che questo è un processo politico”, ha detto fuori dal tribunale Chan Po-ying, presidente della Lega dei Socialdemocratici.

A Taiwan, con il rapporto 2021 sull’Esercito popolare di liberazione, il ministero della Difesa ha tracciato uno scenario ben più critico dello scorso anno sulla minaccia della Cina, che considera l’isola una sua provincia “ribelle”.

Le forze armate di Pechino non dispongono ancora di attrezzature e supporto logistico per operazioni di sbarco su larga scala, ma hanno capacità avanzate per opzioni come il lancio di truppe aviotrasportate, quando il rapporto 2020 rilevava che non erano ancora nelle condizioni di lanciare un assalto completo.

A Pechino sono attribuite capacità per “attacchi elettronici soft e hard”, incluso il blocco delle comunicazioni attraverso la parte occidentale della prima catena di isole, quelle tra Taiwan e l’arcipelago nipponico. La Cina “può lanciare attacchi cablati e wireless contro Internet globale, che inicialmente paralizzerebbero le nostre difese aeree, il comando marittimo e le capacità di contrattacco”.

Il rapporto ha segnalato altri due punti: l’arrivo della terza portaerei cinese nel 2025 darebbe più capacità per negare l’accesso all’area a forze esterne; la guerra cognitiva per influenzare l’opinione pubblica taiwanese con la disinformazione e i ripetuti blitz aerei nella zona d’identificazione della difesa aerea di Taipei.

La presidente Tsai Ing-wen ha fatto del rafforzamento delle difese di Taiwan una priorità, non solo puntando sull’industria domestica, ma acquistando più armamenti dagli Usa, il più importante fornitore e sostenitore internazionale.

(di Antonio Fatiguso/ANSA).

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