I 200 mila disperati lasciati in Afghanistan

Afghani aspettano nell'aeroporto di Kabul per salire su un aereo militare.
Afghani aspettano nell'aeroporto di Kabul per salire su un aereo militare. (Photo by Shakib RAHMANI / AFP)

ISTANBUL. – Interpreti e addetti a logística e trasporti, mediatori culturali e giornalisti, personale delle ambasciate e attivisti. Dopo vent’anni di collaborazione, che per Talebani e altri gruppi fondamentalisti equivale a un tradimento della fede e della patria, sono almeno 200 mila le persone che gli Stati Uniti e gli altri Paesi della Nato si sono lasciati alle spalle nell’inferno di Kabul.

Mentre decollano gli ultimi voli per riportare a casa i marines americani e la maxi-evacuazione è alle battute finali con oltre 120 mila persone trasferite all’estero da Ferragosto, per i disperati rimasti a terra cresce il timore di rappresaglie da parte dei mullah.

I civili afgani che a vario titolo hanno collaborato con gli Usa, ha calcolato l’International Rescue Committee, sono stati almeno 263 mila. Per loro, l’occasione di lasciare Kabul era legata all’emissione di visti speciali noti come Siv (Special Immigrant Visas), emessi nell’ambito di un programma già sperimentato in Iraq.

Ma le lungaggini burocratiche – fino a 3 anni e mezzo di pratiche e controlli, secondo l’ong americana No One Left Behind, con appena 16 mila permessi approvati dal 2014 – e il caos della fuga dall’Afghanistan hanno costretto in trappola decine di migliaia di persone, insieme ai familiari più stretti, che avrebbero potuto essere evacuati.

Più di metà dei collaboratori degli americani, per non parlare di quelli degli altri Alleati. Per capire cosa rischiano, denuncia ancora l’ong statunitense, basta guardare agli oltre 300 interpreti uccisi negli ultimi 5 anni, prima che i Talebani si riprendessero il Paese.

Anche se gli Usa assicurano di voler continuare le esfiltrazioni, per il calcolo esatto degli aventi diritto potrebbe ormai non esserci più tempo. Anche perché, ha avvertito l’Unhcr, da qui a fine anno mezzo milione di persone potrebbe tentare di lasciare il Paese, spinto da paura e miseria, rendendo ancora più incerte le procedure di identificazione.

Una fuga in prima battuta verso Iran e Pakistan – che già ospitano la grande maggioranza dei profughi afgani, circa 2,2 milioni – per poi tentare il viaggio verso l’Europa, reso ancora più rischioso e complesso dai nuovi muri eretti alle frontiere orientali di Turchia e Grecia.

Un’emergenza umanitaria che la comunità internazionale, ormai militarmente fuori dal Paese, punta adesso ad affrontare attraverso la creazione di safe zone e corridoi umanitari. Una formula che resta però piena di rischi e incognite.

A partire dall’effettiva disponibilità dei sedicenti studenti coranici a permettere l’uscita di civil considerati ostili, molti dei quali protagonisti di quella fuga di cervelli che gli stessi Talebani hanno detto di non potersi permettere in vista della ricostruzione del Paese.

Tutti da verificare restano poi i canali di queste partenze. Cruciale in questo senso potrebbe essere la mediazione di Turchia e Qatar, già protagoniste in queste settimane delle evacuazioni di massa come del dialogo aperto con i mullah, con cui sono pronti a collaborare per la graduale riapertura dello scalo di Kabul ai voli civili.

(di Cristoforo Spinella/ANSA).

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