L’ombra del terrorismo sulla fuga da Kabul

Plotone di soldati dell'Isis sfila con la bandiera nera. Archivio
Plotone di soldati dell'Isis sfila con la bandiera nera. Archivio.

ISTANBUL.- “Come possiamo sapere chi può nascondersi tra questi rifugiati?”. Mentre migliaia di afgani vengono evacuati ogni giorno da Kabul, cresce l’allarme internazionale per le possibili infiltrazioni tra i civili in fuga di combattenti legati a gruppi terroristici.

La preoccupazione, espressa nelle scorse ore dal presidente russo Vladimir Putin, trova sponde da Oriente a Occidente, dalla Cina che teme gli islamisti dello Xinjiang all’Europa vittima degli attentati e ancora incerta sulla gestione dei flussi in arrivo.

La galassia delle sigle diffuse in Afghanistan, collegate ai Talebani o in competizione con loro, include molti dei principali network del terrore: oltre 10 mila miliziani che non rientrano di fatto nei ranghi dei sedicenti studenti coranici, ma hanno giurato fedeltà ad altre organizzazioni, dagli uiguri dell’East Turkestan Islamic Movement agli affiliati local dell’Isis.

La pattuglia più numerosa, secondo gli analisti, riguarda gli 8-10 mila combattenti provenienti dalle vicine repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale e dallo Xinjiang cinese, che con l’Afghanistan condivide un poroso confine di 76 chilometri, storica via del contrabbando.

Uzbekistan, Tagikistan, Turkmenistan: sono questi i Paesi in cui oggi è più forte il timore di un ritorno a casa di foreign fighter mischiati tra i richiedenti asilo, che Europa e Stati Uniti punterebbero a trattenere nella regione in attesa di valutarne lo status. E da lì, denuncia il Cremlino, potrebbero infiltrarsi, anche sfruttando la libera circolazione verso la Russia concessa ai residenti.

A braccetto con Putin, lancia l’allarme la Cina di Xi Jinping. Il controllo dei ribelli uiguri, sottoposti in patria al durissimo regime dei campi di rieducazione, è la condizione principale posta ai mullah da Pechino per portare a Kabul miliardi di investimenti nella ricostruzione e nelle infrastrutture, integrando il Paese nella Nuova Via della Seta, oltre che scommettendo sulle sue risorse energetiche.

Un discorso a parte va fatto per i miliziani di al Qaida, che tra l’Afghanistan e il Pakistan hanno da un ventennio le loro basi. Presenti in almeno metà delle 34 province afgane, specie in quelle orientali e meridionali, hanno mantenuto una rete capillare anche durante la presenza militare americana e dopo l’uccisione di Osama Bin Laden. Se numericamente non hanno più la forza di un tempo, i rapporti privilegiati con la leadership storica degli “studenti coranici” assicurano spazio d’azione e una certa libertà di movimento.

C’è poi il capitolo dei jihadisti legati all’Isis, la cui presenza nel territorio afgano è confermata almeno dal 2015. Nonostante l’avversione del gruppo dirigente storico dei Talebani e i raid occidentali degli ultimi anni, manterrebbe nella cosiddetta provincia del Khorasan del Califfato tra mille e duemila combattenti, che potrebbero restare nel Paese per destabilizzarlo o cercare una via d’uscita verso zone più favorevoli, rilanciando altrove la strategia del terrore.

Le roccaforti, secondo gli esperti Onu, sono in questo caso le province orientali al confine con il Pakistan di Kunar e Nangarhar, ma già alla viglia dell’ultima avanzata talebana erano state segnalate infiltrazioni in diverse altre province, comprese Kunduz e la stessa Kabul.

(di Cristoforo Spinella/ANSA).

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