BEIRUT. – Nella scatola dei pezzi di Lego il piccolo Jad trova ancora, a distanza di un anno, frammenti delle vetrate andate improvvisamente in frantumi quel 4 agosto del 2020 alle ore 18:08, quando una delle più potenti esplosioni non nucleari della storia ha devastato il porto di Beirut e interi quartieri della capitale libanese, uccidendo 207 persone, ferendone più di 6mila, molte delle quali sfigurate e menomate a vita, e costringendo 300mila persone ad abbandonare le loro case, distrutte o fortemente danneggiate dalla deflagrazione.
L’unica certezza finora emersa è che l’esplosione è stata generata dalla detonazione di 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio, per anni rimaste apparentemente incustodite in un magazzino del porto di Beirut. Da più parti si è invocata l’apertura di una inchiesta internazionale indipendente.
Ma finora le indagini sono quelle svolte dalle autorità libanesi, da febbraio guidate dal giovane giudice Tareq Bitar, subentrato al più esperto procuratore Fadi Sawan, rimosso dal suo incarico su forti pressioni politiche dopo che aveva incriminato tre ex ministri.
Il giudice Bitar ha però insistito sulla pista aperta da Sawan. E un mese fa ha aperto un fascicolo contro nove personalità ai vertici delle istituzioni e dei servizi di sicurezza del Paese, indicate come presunti corresponsabili del disastro. Oltre a ex ministri e deputati, tra loro spiccano i nomi del premier uscente Hassan Diab e del capo dell’intelligence, il generale Abbas Ibrahim.
L’establishment politico libanese, fortemente contestato a causa della peggiore crisi economica della storia del Paese scoppiata nell”autunno del 2019, ha finora fatto quadrato. E non ha concesso la rimozione delle immunità istituzionali delle nove figure accusate di “negligenza” e “incuria”.
Queste accuse partono dalla constatazione, sostenuta da una serie di prove documentali mai smentite dagli organi istituzionali, che i vertici politici e di sicurezza libanesi erano sempre state al corrente dell’esistenza del nitrato di ammonio scaricato da una nave cargo nel 2013 e da allora stoccato in un magazzino nel porto.
Sulle cause dell’esplosione l’ipotesi finora più accreditata è quella accidentale, anche se gli inquirenti non hanno ancora escluso quella di un attacco missilistico. Diversi testimoni e vittime della tragedia avevano affermato di aver udito poco prima dell’esplosione il rombo di un velivolo.
Da più parti sono state avanzate ricostruzioni, mai comprovate da immagini satellitari e dai tracciati radar, di un raid aereo israeliano su quello che, secondo alcuni, era un deposito di esplosivi di Hezbollah. Sia Israele che i vertici della milizia sciita libanese filo-iraniana hanno smentito con forza questa ipotesi.
E mentre è montata in questi mesi e settimane la frustrazione e la rabbia dei familiari delle vittime, il Libano è ogni giorno sempre più in ginocchio: il sistema bancario è fallito dal 2019 ed è ormai cronica l’assenza di benzina, elettricità e medicinali.
Le Nazioni Unite stimano ad oltre 350 milioni di dollari gli aiuti d’emergenza per la popolazione che si tenteranno di raccogliere nella Conferenza Internazionale organizzata per dopodomani dalla Francia e dall’Onu.
Il Paese non ha un governo nel pieno dei suoi poteri dall’agosto dell’anno scorso, quando il premier Diab si era dimesso in seguito all’esplosione. E non lo avrà neppure per il m4 agosto, anniversario dell’esplosione, come si era augurato il primo ministro incaricato Najib Mikati che proprio oggi ha ammesso che esistono ancora delle divergenze tra le forze politiche.
Dalle dimissioni di Diab, la Francia, in accordo con gli Stati Uniti e l’Unione Europea, ha trattato i politici libanesi col bastone di non meglio definite sanzioni economiche in caso di mancata formazione del governo e con la carota di ingenti fondi stranieri che dovrebbero arrivare dalla Conferenza. Di tutto questo però, poco sembra importare al piccolo Jad, intento a giocare col suo Lego, che porterà sulla sua pelle per tutta la vita le cicatrici indelebili di quel maledetto pomeriggio d’agosto.
(di Lorenzo Trombetta/ANSA).