Fischi all’inno cinese, caccia all’uomo a Hong Kong

La bandiera cinese su uno schermo gigante a Pechino.
La bandiera cinese su uno schermo gigante a Pechino. EPA/ROMAN PILIPEY

PECHINO.  – Un primo arresto, un uomo di 40 anni, è il risultato delle indagini aperte dalla polizia di Hong Kong per i fischi e gli insulti diretti all’inno nazionale cinese, reato punibile da metà giugno con la multa fino a 6.500 dollari e 3 anni di reclusione.

I fatti risalgono a lunedì, quando un gran numero di tifosi si è radunato all’APM Mall di Kwun Tong, un centro commerciale dell’ex colonia, per seguire su un maxi-schermo la finale nel fioretto di Tokyo 2020 tra il beniamino di casa Edgar Cheung e il campione in carica, l’italiano Daniele Garozzo.

La vittoria storica dello schermidore asiatico e primo oro olimpico in assoluto di Hong Kong ha mandato in delirio i fan.

Alla cerimonia di premiazione, tuttavia, il clima è cambiato e alcuni hanno inizialmente fischiato l’inno nazionale cinese, essendo la città parte del Dragone, intonando in seguito le note di “We are Hong Kong”, inno usato dagli appassionati di calcio locali per rivendicare l’identità e la cultura cantonese dei territori verso la Cina, principalmente di lingua mandarina.

Il successo sportivo dell’ex colonia, che annovera gli argenti nel nuoto di Siobhan Haughey, è maturato in un momento politicamente turbolento, con la Cina che sta stringendo sempre di più le maglie in risposta alle grandi manifestazioni antigovernative e pro-democrazia scoppiate nel 2019.

La polizia ha riferito che il sospettato, qualificatosi come giornalista, ha sventolato una vecchia bandiera coloniale e incitato gli altri a fischiare la Marcia dei Volontari, l’inno nazionale cinese.

L’arresto è stato eseguito venerdì pomeriggio nella zona di Kwai Tsing, insieme al sequestro di 10 bandiere coloniali, dopo la visione dei filmati delle telecamere a circuito chiuso e dei video postati sui social media. E potrebbe non essere l’unico, dato che la caccia all’uomo continua.

Oggi intanto Tong Ying-kit, l’attivista pro democrazia, è stato condannato a 9 anni di carcere: il suo è il primo caso di applicazione della nuova legge sulla sicurezza nazionale imposta da Pechino sull’ex colonia a giugno del 2020.

L’uomo, 24 anni, mera stato riconosciuto colpevole martedì di “terrorismo” e  “incitamento alla secessione” per aver sventolato una bandiera nera con uno slogan molto popolare (‘Liberate Hong Kong, rivoluzione dei nostri tempi’) durante le manifestazioni anti-governative di 10.000 persone del primo luglio 2020, all’indomani dell’entrata in vigore della contestata legge.

Il processo è stato visto come uno spartiacque dagli attivisti pro-democrazia e dai gruppi per i diritti umani, nonché come un grave attacco e allontanamento dalle tradizioni del common law di Hong Kong, poiché è stata negata la cauzione e un proceso con giuria visto che il caso è stato deciso da tre giudici scelti dalla governatrice Carrie Lam dedicati ai crimini di sicurezza nazionale.

Più di 60 persone sono state accusate ai sensi della legge sulla sicurezza nazionale, inclusi alcuni dei più noti attivisti per la democrazia della città come Jimmy Lai, proprietario del quotidiano Apple Daily, chiuso a giugno. La maggior parte è ora in carcere in attesa di processo.

(di Antonio Fatiguso/ANSA).

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