Afghanistan: Mosca e Pechino pronti a riempire vuoto Usa

In questa immagine d'archivio, soldati dell'Esercito Nazionale Afghano (ANA) attendono l'apertura della cerimonia della Direzione Nazionale di Sicurezza Security (NDS) agenzia di intelligenza fondata dagli Stati Uniti a Lashkar Gah, Afghanistan.
In questa immagine d'archivio, soldati dell'Esercito Nazionale Afghano (ANA) attendono l'apertura della cerimonia della Direzione Nazionale di Sicurezza Security (NDS) agenzia di intelligenza fondata dagli Stati Uniti a Lashkar Gah, Afghanistan. (ANSA-EPA/WATAN YAR)

MOSCA. – Gli Usa lasciano l’Afghanistan, tomba degli imperi, e l’intera area Centrasiatica è in subbuglio perché ogni vuoto, nella geopolitica, va riempito. E in fretta.

La Russia, che in Afghanistan al tempo dell’Unione Sovietica ha conosciuto l’inizio della fine della sua grandeur, monitora da vicino e si muove. Per esempio ospitando una delegazione dei Talebani, sulla scia del processo politico di Doha.

“Questi colloqui sono necessari”, avverte il Cremlino. Anche perché i Talebani ormai controllano “l’85% del Paese” e i due terzi del confine col Tagikistan – circostanza che desta le preoccupazioni di Mosca.

L’ex repubblica sovietica, già protagonista del recente, breve conflitto col vicino Kirghizistan scatenato da dispute territoriali, ospita la 201/a base militare russa ed è legata a Mosca dal trattato di sicurezza collettiva (o CSTO). Di fatto, dunque, è la “porta” che permette al Cremlino di affacciarsi al nuovo grande gioco afghano.

“Se necessario, misure aggiuntive decise saranno intraprese nello spirito dell’alleanza russo-tagika per prevenire aggressioni o provocazioni territoriali”, ha avvertito la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova.

Ecco, la Russia, come minimo, non vuole che la transizione post-Usa si trasformi in un fattore di destabilizzazione in un’area tradizionalmente delicata, anche dal punto di vista delle suggestioni estremiste (le repubbliche ex sovietiche godono di un regime senza visti con Mosca); ma, al contempo, non disdegna di avere una voce in capitolo sull’assetto futuro di quel quadrante, sempre più rilevante alla luce dei corridoi commerciali creati dalla nuova via della seta cinese.

“Penso che tutti abbiano accolto con favore gli accordi raggiunti tra Washington e i Talebani: vogliamo che siano rispettati”, ha commentato Serghei Lavrov, il capo della diplomazia russa.

Loro, i Talebani, al momento sfoggiano un approccio quasi moderato. Da Mosca giurano di voler combattere l’Isis, di essere pronti a interrompere l’offensiva se si raggiungerà un accordo a Doha, di non voler prendere il potere con la forza e di non voler nuovamente trasformare l’Afghanistan, quando saranno al governo, in uno stato canaglia, buco nero per la sicurezza e la stabilità di Paesi terzi.

Il Cremlino, che tuttora considera i Talebani come un’organizzazione terroristica bandita dal suolo russo, a domanda precisa sostiene che sia “prematuro” valutare l’ipotesi di riconoscere ufficialmente un loro eventuale governo. Si vedrà che evoluzione seguirà la situazione sul campo.

La Cina, dal canto suo, non sta con le mani in mano. Gli Usa “sono ansiosi di ritirare le proprie truppe dall’Afghanistan e di lasciare il caos al popolo afghano e ai Paesi regionali, esponendo l’ipocrisia dietro la loro maschera di difesa della democrazia e dei diritti umani”, ha tuonato il portavoce del ministero degli Esteri cinese Wang Wenbin, definendo “irresponsabile” il disimpegno di Washington.

Wang ha anche annunciato che il Consigliere di Stato e ministero degli Esteri Wang Yi visiterà Turkmenistan, Tagikistan e Uzbekistan dal 12 al 16 luglio, tre Paesi confinanti a nord con l’Afghanistan.

Mosca e Pechino sembrano dunque decise a riprendersi l’Eurasia ma, nel farlo, testeranno quella “special relationship’”costruita negli anni sin dal trattato di “buon vicinato e cooperazione amichevole”, che il prossimo 16 luglio mcompirà 20 anni.

I “veicoli” disponibili abbondano. La Russia ha il già indicato a questo fine il CSTO, che accoglie un pezzo dell’ex Urss, e che potrebbe finalmente dimostrare la sua utilità. Oppure l’Unione Economica Eurosiatica, che lega Kazakhstan e Kirghizistan.

Ma la parte del leone potrebbe farla la Shanghai Cooperation Organisation (SCO), al cui interno siedono sia la Russia sia la Cina (nonché Pakistan e India). L’Afghanistan, peraltro, è Paese osservatore sin dal 2012.

Insomma, ci sono gli ingredienti per tentare un multilateralismo alternativo all’Occidente. Nel cortile di casa.

(di Mattia Bernardo Bagnoli/ANSA).

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