Cittadinanza italiana a Zaki, cresce il pressing dei partiti

Manichino di Zaki in aula nell'Università di Bologna.
Manichino di Zaki in aula nell'Università di Bologna. (Foto Max Cavallari/Ansa)

BOLOGNA. – Patrick George Zaki sia “libero” e sia “cittadino italiano”. Nel giorno del trentesimo compleanno del ricercatore egiziano dell’Università di Bologna, il secondo che trascorre in carcere in Egitto dove è in custodia da oltre un anno accusato di terrorismo e istigazione alla violenza, cresce il pressing sul governo di una parte del mondo politico e della società civile per concedergli la cittadinanza italiana. Tanti gli appelli in questo senso arrivati oggi, ma il Governo prende tempo.

“Oggi Patrick Zaki compie trent’anni. In cella. Noi chiediamo al governo di applicare l’indicazione unanime del Parlamento e dargli la cittadinanza”, ha twittato Enrico Letta, segretario Pd. Stessa richiesta dall’esponente dem e presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, per il quale è “inaccettabile” che il ricercatore sia ancora in custodia cautelare al Cairo.

Per Zaki c’è anche la voce dell’Europa: “Zaki non ha fatto nulla, non ha commesso reati”, scrive su Twitter David Sassoli, presidente del Parlamento europeo, che aggiunge: “La sua detenzione è una vergogna per chi crede nei valori umani e nei diritti fondamentali della persona”. “L’Europa è la sua casa”, aggiunge Sassoli, che dice di condividere insieme all’Università di Bologna “l’iniziativa” per riconoscergli la cittadinanza italiana.

Alma Mater è in prima fila nella mobilitazione per riportare alla libertà il suo studente Patrick Zaki. Il rettore Francesco Ubertini promette che la voce dell’ateneo continuerà a farsi sentire finché il ricercatore – ora “ingiustamente detenuto”, afferma – non sarà libero. Insiste sulla necessità della cittadinanza italiana Virginio Merola, sindaco di Bologna, anche “come strumento di pressione” nei confronti dell’Egitto.

Con la speranza che Patrick il prossimo compleanno possa trascorrerlo magari a Bologna, città che lo aveva “adottato” come studente del master europeo Gemma e che la cittadinanza onoraria gliel’ha conferita a gennaio, insieme a molte altre città d’Italia. “Capisco le complicazioni diplomatiche”, dice Merola, “ma, ora che il Parlamento si è pronunciato, mi aspetto che il governo rispetti le indicazioni”.

Gli attivisti che si battono per la liberazione di Patrick continuano a chiedere il perché della sua detenzione, ormai rinnovata periodicamente mentre il ricercatore è in condizioni fisiche e soprattutto psicologiche sempre più compromesse. Da Bologna, dove è stata inaugurata una mostra per tenere accesi i riflettori su Zaki, Riccardo Noury di Amnesty International Italia incalza il governo italiano sulla cittadinanza: “Il 14 aprile scorso il Senato ha votato un odg sulla cittadinanza italiana. Vi risulta che il governo abbia fatto qualcosa? A me no, ed è un segnale di disinteresse”.

E lancia l’auspicio che sia Bologna a ospitare l’incontro tra la senatrice a vita Liliana Segre e lo studente, quando tornerà in libertà: “Patrick si è preso l’impegno di consegnare alla Segre una lettera che lui stesso ha scritto. Facciamolo qui, in questa città che lo ha adottato”.

Bologna ha ricordato il compleanno di Patrick con una mostra, allestita lungo uno dei suoi portici più simbolici, dal titolo ‘Patrick patrimonio dell’umanità’, che ricorda anche altri prigionieri di coscienza. Pur avendo piena consapevolezza della delicatezza della situazione, delle preoccupazioni di familiari e attivisti, il governo italiano tuttavia prende tempo. Il timore è che il riconoscimento della cittadinanza italiana possa irrigidire ulteriormente l’Egitto sul caso.

Lo stesso ministro degli Esteri Luigi Di Maio qualche settimana fa in una intervista televisiva aveva sottolineato l’urgenza di liberare Patrick ma senza “illudersi” che sia più facile farlo “aumentando la portata mediatica del caso”. Intanto i deputati del Movimento 5 Stelle nella commissione Esteri chiedono di coinvolgere Europa e Nazioni unite, per non lasciare l’Italia da sola, e propongono di “valutare un ricorso presso la Convenzione contro la tortura, adottata delle Nazioni unite nel 1984. Ci sono gli estremi per sancire gli abusi subiti da Zaki e per mettere ulteriore pressione internazionale all’Egitto”.

(di Stefania Passarella/ANSA)

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