A Roma 82 afghani: hanno aiutato gli italiani, ora rischiano

La cerimonia di ammaina-bandiera che segna la fine della missione italiana in Afghanistan
La cerimonia di ammaina-bandiera che segna la fine della missione italiana in Afghanistan, 8 giugno 2021. ANSA/CLAUDIO PERI

ROMA. – Non sono solo i militari italiani a rientrare da Herat con la chiusura della missione in Afghanistan Resolute Support. Ci sono anche gli afghani – interpreti, autisti, baristi che hanno lavorato col contingente nazionale e le loro famiglie – che saranno accolti in Italia per evitare la vendetta dei Talebani quando le truppe della Nato avranno completato il ritiro.

Oggi a Fiumicino è arrivato il primo aereo con a bordo 82 civili afghani che hanno collaborato con le forze armate italiane. “L’Italia non li dimentica”, ha detto il ministro della Difesa Lorenzo Guerini.

L’11 settembre era la data simbolica scelta dal presidente Usa Joe Biden per la fine dell’impegno americano nel Paese che era diventato la culla di Al Qaeda. Ma ultimamente c’è stata un’accelerazione del piano ed il rientro (ai tempi americani si stanno adeguando anche le altre Nazioni impegnate in Resolute Support) potrebbe concludersi entro la metà di luglio. Camp Arena, la base italiana ad Herat, dove martedì scorso Guerini è volato per il saluto al contingente e l’ammaina-bandiera, è già semivuota.

In queste settimane a Kabul ed in altre città del Paese si sono susseguite manifestazioni dei collaboratori afghani che hanno chiesto di essere trasferiti fuori dall’Afghanistan. Questo personale, infatti, negli ultimi anni è stato vittima di attacchi mirati da parte dei Talebani. In tanti sono stati torturati ed uccisi e senza la protezione delle forze Nato, la vita di chi ha collaborato con quelli che vengono considerati “gli invasori stranieri” sarebbe fortemente a rischio.

Un portavoce dei Talebani pochi giorni fa ha dichiarato che queste persone non avranno nulla da temere, purché mostrino “rimorso”. Un messaggio per nulla incoraggiante. Chi può scappa, dunque. E la Difesa ha lanciato un’apposita operazione chiamata ‘Aquila’, per trasferire in Italia circa 270 tra collaboratori e famiglie, mentre la posizione di altri 400 è oggetto di approfondimento.

Oggi sono arrivati i primi 82 che, dopo il periodo di quarantena, beneficeranno della protezione internazionale e saranno presi in carico dal ministero dell’Interno e inseriti nella rete di accoglienza e integrazione. Due degli afghani che hanno lavorato con il contingente italiano ad Herat, l’interprete Nader ed il barista Hamid, si sono detti pronti ad iniziare una nuova avventura, non nascondendo la commozione per dove abbandonare la propria Patria. “Speriamo di dare all’Italia quello che l’Italia ha dato a noi”, hanno detto.

(di Massimo Nesticò/ANSA)

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