ROMA. – Con un’espressione un po’ logora si potrebbe definire bulgaro il voto con cui ieri i siriani hanno rieletto presidente per un quarto mandato Bashar al-Assad.
Un 95,1% dei suffragi pari a 14,2 milioni di votanti su 18,1 milioni di aventi diritto, ossia un tasso di partecipazione del 76,64% di cittadini che avevano ben poco da scegliere in un appuntamento elettorale dal quale l’opposizione era stata fatta fuori già in partenza con una legge elettorale che impone ai candidati di vivere in Siria da almeno dieci anni ed esclude quindi gli oppositori che di fatto sono tutti in esilio.
E non basta a definire il voto una competizione quell’1,5% e quel 3,3% dei consensi ottenuti rispettivamente dai due ‘rivali’ di Assad, l’ex ministro e parlamentare Abdallah Sallum Abdallah e un membro dell’opposizione tollerata dal potere, Mahmud Marei, che non hanno alcun credito presso l’opposizione, né avuto visibilità in campagna elettorale.
Hanno poi ignorato lo scrutinio le regioni autonome curde del nord-est e, ovviamente, l’ultima grande roccaforte jihadista di Idlib, nel nord-ovest del Paese, dove vivono tre milioni di persone. Per non parlare dei milioni di profughi rifugiati all’estero che non hanno avuto accesso al voto.
Che le regole della democrazia non fossero un problema, Assad l’aveva ribadito alla vigilia dello scrutinio bollando le critiche di Usa e Ue sulle elezioni “farsa” come “opinioni che valgono zero”. E incassando senza batter ciglio, lo stesso giorno delle consultazioni, la proroga delle sanzioni contro Damasco da parte del Consiglio Ue per un altro anno, fino al primo giugno 2022.
A congratularsi con Assad solo i due grandi alleati, Russia e Iran. La vittoria conferma la sua “alta autorità politica e la fiducia dei concittadini”, gli ha scritto in un grottesco telegramma il presidente russo Vladimir Putin. Teheran ha salutato con un comunicato del ministero degli Esteri la “vittoria netta” di Assad, con la “partecipazione massiccia della popolazione” che costituisce una “tappa importante” verso la pace.
Ma le manifestazioni di giubilo organizzate nella Piazza degli Omayyadi e gli slogan inneggianti al “leader della guerra e della pace” non bastano a rendere più facili i prossimi sette anni di Assad sulla poltrona che occupa dal 2000, dalla norte del padre, il “Leone di Damasco” Hafez, a sua volta padre padrone della Siria per 30 anni.
Le infrastrutture distrutte, le sanzioni in atto, un’economia in ginocchio dopo un decennio di guerra che è costata, secondo un rapporto recente dell’Ong World Vision, mille miliardi di euro: Assad deve fare i conti con tutto questo non solo a colpi di propaganda.
Ma su un risultano non possono esserci dubbi. Come afferma Nicolas Heras, esperto del Newlines Institute di Washington intervistato dall’Afp, attraverso questa rielezione il messaggio di Assad all’opposizione e ai Paesi occidentali è inequivocabile: “I loro sogni di rovesciarlo sono morti”.
(di Eloisa Gallinaro/ANSA).