Omofobia: la libertà di opinione nei timori della Cei

Una bandiera arcobaleno davanti Montecitorio durante il voto sulle unioni civili alla Camera, Roma, (Archivio).
Una bandiera arcobaleno davanti Montecitorio durante il voto sulle unioni civili alla Camera, Roma, (Archivio). ANSA/ANGELO CARCONI

ROMA. – I vescovi italiani restano preoccupati dal disegno di legge Zan, temono che venga minata la libertà di opinione e di espressione. A farsi portavoce di questo timore è stato oggi il neo-eletto vicepresidente della Cei, mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari.

La priorità è “la difesa della persona contro ogni violenza e contro ogni discriminazione” ma anche “la tutela del pluralismo di opinione senza aver paura di incorrere in meccanismo sanzionatori”, ha detto lanciando anche un appello alla politica: “Liberiamo il campo da ogni possibile intolleranza”.

E poi assicura che la Chiesa saprà ricomporre le sue ‘anime’, tra coloro che sono aperturisti e che chiedono il “dialogo” per portare a casa qualche modifica, e coloro che invece vorrebbero vedere il progetto affossato. Tra i vescovi italiani c’è “un confronto franco e libero”, ha riferito ancora Baturi, ma “la soluzione sarà certamente unitaria”.

Una posizione che dovrà essere messa a punto presto, anche in vista delle audizioni in Senato, tra le quali è in calendario quella a monsignor Stefano Russo, segretario generale della Cei. “Su temi fondanti, come quello dell’identità, il legislatore si deve porre al termine di un percorso di condivisione e dibattito che deve avvenire nella società”, ha aggiunto il vescovo vicepresidente Baturi.

Ma a fare da contraltare alle parole dei vescovi arrivano quelle dei Gesuiti italiani. Il direttore di Aggiornamenti Sociali, padre Giacomo Costa, parla di “una grande confusione anche all’interno della compagine ecclesiale” e rimarca che “il punto di partenza è che ci troviamo di fronte a persone che subiscono discriminazioni e violenze, e per questo soffrono. È questa la realtà a cui prestare ascolto e da non lasciar occultare da dispute ideologiche”.

Quanto ai rischi per la libertà di espressione, il Gesuita argomenta che la Legge Mancino, che introdusse nel nostro ordinamento una sanzione specifica per gli atti di discriminazione, odio o violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, “fu approvata quasi vent’anni fa. Vista l’abbondanza delle manifestazioni di razzismo che nello stesso periodo sono circolate nella nostra cultura, nei nostri media e nella nostra politica, non è realistico prospettare che quella norma possa rappresentare un bavaglio per la società italiana”.

“Una buona legge – conclude p. Costa nel suo editoriale – è certamente un valido punto di partenza, ma vincere la sfida richiede che tutte le componenti della società scelgano di uscire dalle trincee ideologiche”.

(di Manuela Tulli/ANSA)

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