Caso Regeni: processo per i quattro 007 torturatori

Manifestazione e fiaccolata in ricordo di Giulio Regeni, a 4 anni dalla sua scomparsa a Il Cairo
Manifestazione e fiaccolata in ricordo di Giulio Regeni, a 4 anni dalla sua scomparsa a Il Cairo, Torino, 25 gennaio 2020. ANSA/EDOARDO SISMONDI

ROMA. – La “banda dei quattro” va a processo. Gli agenti dei servizi segreti egiziani accusati di avere sequestrato, torturato e ucciso il ricercatore Giulio Regeni nel 2016 sono stati rinviati a giudizio dal gup di Roma, Pierluigi Balestrieri che ha, di fatto, recepito totalmente l’impianto accusatorio del procuratore Michele Prestipino e del sostituto Sergio Colaiocco.

Il processo è stato fissato per il prossimo 14 ottobre davanti alla terza Corte d’Assise, nei loro confronti le accuse variano dal sequestro di persona pluriaggravato al concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate. Il giudice, in apertura di udienza, ha respinto le istanza presentate dalle difesa in materia di “assenza” degli imputati. A detta del giudice è “volontaria” da parte dei quattro 007 la “sottrazione dal processo: la copertura mediatica capillare e straordinaria ha fatto assurgere la notizia della pendenza del processo a fatto notorio”.

In aula erano presenti i genitori del ricercatore trovato privo di vita nel febbraio di cinque anni fa. “Paola e Claudio dicono spesso che su Giulio sono stati violati tutti i diritti umani – ha commentato l’avvocato Alessandra Ballerini, legale dei genitori di Regeni -. Da oggi abbiamo la fondata speranza che almeno il diritto alla verità non verrà violato. Ci abbiamo messo 64 mesi, ma quello di oggi è un buon traguardo e un buon punto di partenza: finalmente abbiamo l’inizio di una verità processuale grazie anche al lavoro di Ros e Sco”.

Dal canto loro fonti della procura esprimono “soddisfazione” per la decisione del gup arrivata dopo circa tre ore di camera di consiglio. Nel corso dell’udienza il pm, nel chiedere il rinvio a giudizio, ha sostanzialmente affermato che ora il processo rappresenterà una nuova “sfida” per “ottenere” che i testimoni, in particolare quelli egiziani, vengano in Italia a raccontare quanto detto nel corso delle indagini.

Per il rappresentate dell’accusa la sfida sarà anche quella di “arrivare ad una sentenza di colpevolezza se non si riuscirà a far arrivare i testimoni in aula” anche se “nel corso delle indagini è divenuto possibile l’impossibile”. Il riferimento è a gli otto testimoni che in questi mesi hanno fornito elementi determinati a ricostruire quanto avvenuto tra il gennaio e il febbraio del 2016 al Cairo.

Otto persone che accusano in modo chiaro e credibile i cinque. Da tre testi, in particolare, sono arrivate conferme sul fatto che i servizi segreti cairoti avevano pianificato i depistaggi già nelle ore successive alla morte di Giulio, di cui erano a conoscenza già il 2 febbraio, 24 ore prima del ritrovamento “ufficiale” del corpo, stabilendo di inscenare una rapina finita nel sangue.

Uno dei nuovi testimoni ha raccontato che gli 007 sapevano della morte di Giulio dal 2 febbraio e per deviare l’attenzione da loro erano pronti ad “inscenare una rapina finita male”. Il testimone ha raccontato agli inquirenti italiani di essere diventato amico di Mohammed Abdallah, il capo del sindacato indipendente degli ambulanti del Cairo, che ha denunciato il ricercatore italiano ai servizi egiziani.

L’uomo ha spiegato che quel giorno di cinque anni fa era con Abdallah: “ho notato che era palesemente spaventato – ha raccontato agli investigatori italiani -. Lui mi ha spiegato che Giulio era morto e che quella mattina era nell’ufficio del commissariato di Dokki in compagnia di un ufficiale di polizia che lui chiamava Uhsam (uno dei quattro 007 imputato ndr) quando quest’ultimo aveva ricevuto la notizia della morte e che la soluzione per deviare l’attenzione da loro era quella di inscenare una rapina finita male”.

Secondo i testi il torturatore di Giulio fu il maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Fu lui, insieme a soggetti rimasti ignoti, a portare avanti per almeno nove giorni le sevizie avvenute in una villetta in uso ai servizi segreti nella periferia della capitale egiziana. Torture “che causarono a Regeni “acute sofferenze fisiche” messe in atto anche attraverso oggetti roventi, calci, pugni, lame e bastoni. Torture avvenute nella stanza 13 al primo piano di una villa utilizzata dai servizi segreti per i “sospettati di avere tramato contro la sicurezza nazionale”.

(di Marco Maffettone/ANSA)

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