Elezioni farsa in Siria, Assad verso il quarto mandato

Il presidente sirio Bashar al-Assad.
Il presidente sirio Bashar al-Assad. Archivio.

BEIRUT. – Il contestato presidente siriano Bashar al Assad, formalmente alla guida di un Paese martoriato da dieci anni di conflitto che ha causato la morte di mezzo milione di persone e lo sfollamento di circa 10 milioni di siriani, si appresta a essere confermato per un nuovo settennato, fino al 2028, in un contesto di collasso economico e di spartizione territoriale.

Le urne si aprono mercoledì in tutte le località controllate dalle forze governative e da quelle russe e iraniane, sotto lo sguardo di osservatori di Paesi amici, come Russia, Iran, Cina e Venezuela.

Si tratta delle seconde elezioni a cui sono ammessi candidati “rivali” di Assad, ma si tratta di due personaggi poco conosciuti all’opinione pubblica e privi della potente macchina di costruzione del consenso di cui dispone lo stesso raìs e il partito Baath al potere da più di mezzo secolo.

Si voterà nei territori siriani dove vivono più di 10 milioni di persone e che sono stati nel corso degli anni riportati sotto il controllo nominale di Damasco, ma che di fatto sono preda di una miriade di milizie lealiste, alcune controllate direttamente da Mosca, altre da Teheran, altre ancora da signori della guerra più o meno legati all’oligarchia capeggiata dallo stesso Assad.

Il 55enne raìs è al potere da 21 anni, da quando prese il posto del padre Hafez al Assad, presidente dal 1970 e considerato il fondatore del sistema di potere ancora oggi in piedi dopo circa mezzo secolo. Bashar al Assad non è un autocrate solitario in cima alla piramide di un regime solo autoritario e repressivo.

É soprattutto il volto pubblico di una ramificata rete di interessi economici, finanziari e politici, sia locali sia internazionali. La spartizione dei territori siriani e la spoliazione delle sue risorse è operata da tutti gli attori coinvolti. La Russia e l’Iran, che mantengono truppe nella Siria costiera e centrale, sono alleati di lunga data di Damasco, che di recente ha ripreso contatti con l’Arabia Saudita dopo aver già ristabilito relazioni con gli Emirati.

La Turchia controlla direttamente e indirettamente quasi tutta la fascia di territorio siriano a ridosso del confine turco, da nord-ovest a nord-est. E gran parte delle merci importate nei territori governativi provengono dalla stessa Turchia. Ankara è ostile al progetto autonomista curdo-siriano nelle ricche regioni petrolifere della Siria orientale. Qui si trovano militari americani, russi, governativi siriani e turchi.

La Siria è anche un Paese al collasso economico, causato dalla peggiore crisi valutaria degli ultimi decenni, innescata dalla crisi nel vicino Libano, dalle sanzioni Usa, dagli effetti globali della pandemia. In un contesto di crescente povertà e insicurezza alimentare, circa 4 milioni di siriani rimangono ammassati nelle regioni del nord-ovest, alla mercé di gruppi armati filo-turchi.

Alle precedenti elezioni presidenziali del 2014 il sistema-Assad controllava meno territori di quanto ne controlli formalmente oggi. Ma il raìs è stato negli anni costretto a cedere quote di potere pur di rimanere “il legittimo mpresidente”.

E oggi appare meno capace di ieri di influire sulle dinamiche di potere nelle stesse zone governative. La pace in Siria è lontana da venire, affermano gli analisti. E gli effetti del conflitto armato e dell’endemica instabilità si faranno sentire per almeno il prossimo decennio, quando Assad potrebbe candidarsi per il suo quinto mandato settennale.

(di Lorenzo Trombetta/ANSA).

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