Voto locale in Gb, la sfida della Scozia a Johnson

Il premier britannico Boris Johnson.
Il premier britannico Boris Johnson. (ANSA/EPA/Jason Alden)

LONDRA. – Ultimi comizi in un Regno Unito ormai largamente vaccinato e alleviato dalla minaccia del Covid in vista di una tornata elettorale locale delicatissima, la prima dopo l’entrata in vigore definitiva della Brexit.

I fronti di battaglia sono molti e importanti, dalla poltrona di sindaco di Londra alle amministrazioni del nord dell’Inghilterra, dalle suppletive per un seggio di deputato a Westminster al rinnovo del parlamento regionale del Galles; ma la vera posta in palio è in Scozia: dove gli indipendentisti dell’Snp (Scottish National Party), guidati dalla coriacea quanto popolare first minister di Edimburgo, Nicola Sturgeon, sfidano a viso aperto il no a un nuovo referendum sulla secessione opposto finora dal governo centrale Tory del premier Boris Johnson.

E mirano a una maggioranza assoluta record di consensi che, se conquistata, potrebbe aiutarli a provare a forzare la mano.

Le urne resteranno aperte fino a domani sera alle 22 (le 23 in Italia). E i risultati dovrebbero arrivare solo a spoglio completato: venerdì per le sole suppletive nazionali in agenda, quelle del collegio di Hartlepool, nel nord-est inglese; tra sabato e domenica per le competizioni amministrative.

Il duello tradizionale fra i conservatori di Johnson e i laburisti di sir Keir Starmer, leader moderato chiamato in sella al posto del radicale Jeremy Corbyn dopo la disfatta delle politiche di fine 2019, ma sino ad oggi incapace di dare una svolta vera ai sondaggi, si consuma fra Inghilterra e Galles: con alcune partite scontate, salvo terremoti, come la prevista rielezione a sindaco di Londra di Sadiq Khan; e altre decisamente più aperte, a iniziare proprio dal collegio di Hartlepool per la Camera dei Comuni, che il candidato Tory potrebbe strappare ai laburisti per la prima volta in 57 anni.

Mentre non va sottovalutato lo scenario gallese, terra di vecchie radici operaie e minerarie in cui il partito di Starmer difende una storica maggioranza (e il timone del governo locale) andata però erodendosi negli anni.

Ma lo scontro che conta, quello più atteso, passa per il confine simbolico settentrionale con la Scozia: dove a rilanciare le pulsioni indipendentiste (una cui ipotetica avanzata potrebbe poi impattare in chiave ben più violenta pure sull’Irlanda del Nord) contribuiscono i contraccolpi della Brexit. Scelta respinta da un 62% di scozzesi nel 2016, ma che la maggioranza complessiva dei sudditi di Sua Maestà (trainata dalla 10 volte più popolosa Inghilterra e in misura minore dal Galles) finì per imporre.

Non sorprende dunque che fra i botta e risposta delle ultime ore, il più acceso e mediatico sia stato fra Sturgeon e BoJo. La prima ha invocato l’auspicio d’un voto a valanga all’Snp a mo’ di premio “a una leadership sperimentata”, a un’azione di governo locale rivendicata come “di successo” anche nel contenimento del Covid, a un programma “serio per il futuro, ma anche e soprattutto a sostegno della campagna per “il diritto di decidere se la Scozia debba essere uno Stato indipendente” e provare a tornare nell’Ue.

Ossia per quel referendum bis sulla cui tempistica la leader indipendentista ha d’altronde di recente frenato, consapevole come non tutti i voti anti-Brexit scozzesi siano in automatico pro-secessione; e non tutti i sondaggi diano per garantito neppure oggi il 50% più uno di consensi al divorzio da Londra, dopo la sconfitta del 2014, dati i molti legami (e interessi) concreti in ballo.

Mentre Johnson – che spera di confermare almeno il secondo posto dei Tories scozzesi dopo il recente storico sorpasso sul Labour, malgrado gli scandali e i sospetti che in queste settimane lo hanno investito in prima persona in relazione alla ristrutturazione d’oro del suo appartamento a Downing Street, alla questione Covid-lockdown e ad altro – ha replicato bollando come “scriteriata” la sola idea di tornare a mettere in discussione l’unione plurisecolare dell’isola britannica.

“Credo che la gente scozzese e tutto il popolo del Regno Unito avvertano in maggioranza che non sia questo il tempo per un secondo referendum, scriteriato e direi irresponsabile”, ha tuonato il premier, pur evitando di mettere piede a Edimburgo o a Glasgow quasi a non voler essere provocatorio o alzare la posta oltremisura.

Il no all’indipendenza è stato proclamato “solo pochi anni fa” e s’era detto sarebbe valso “per una generazione”, ha poi rincarato, evocando semmai “la ricostruzione dell’economia e il rilancio dell’occupazione” post pandemia quali “vere priorità della gente”. A nord come a sud del Vallo di Adriano, se gli elettori non gli daranno torto.

(di Alessandro Logroscino/ANSA).

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