MOSCA. – La risposta di Mosca all’ultimo giro di sanzioni americane è arrivata puntuale, con l’espulsione speculare di 10 diplomatici Usa, il divieto di ingresso nel Paese a pezzi grossi come il ministro della giustizia e il capo dell’Fbi, e altre misure per rendere difficile la vita dell’ambasciata statunitense in Russia.
Ma, e questa è la vera novità, il Cremlino ha scelto di non interrompere il dialogo con Joe Biden, così come invece vaticinavano i circoli più intransigenti dell’élite russa. Insomma, il summit tra Putin e il nuovo inquilino della Casa Bianca, proposto proprio da Biden solo due giorni fa, appare salvo. E questo la dice lunga sul desiderio dello zar di sedersi, da pari, a un tavolo con il suo omologo d’oltre oceano.
Il portavoce di Putin, pur bollando come “inaccettabili” e “ossessive” le sanzioni Usa, aveva giudicato “positivamente”, in apertura di giornata, la volontà di Biden di dialogare. “La pensa così anche il nostro presidente”, ha sottolineato Dmitry Peskov nel suo briefing. Sullo sfondo, certo, i problemi di sempre.
Intanto l’Ucraina, dove le tensioni restano alte e dunque Mosca ha esortato Emmanuel Macron e Angela Merkel a fare pressioni su Kiev perché la “smetta” con le provocazioni nel Donbass. Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, proprio oggi ha incontrato Macron e gli ha sottoposto una lunga lista di doglianza per ciò che considera le mancanze russe sul fronte negoziale. Poi gli ha sottoposto una dichiarazione, da firmare, per sostenere l’ingresso del suo Paese nella Ue.
Il tentativo di Zelensky di agganciare il treno europeo (nonché quello Nato) quanto prima, come mezzo per mettersi al riparo dalla pressione russa è palese. Gli Usa – a parole – appoggiano, gli europei si mostrano più tiepidi. Ecco perché Putin tiene molto al summit con Biden: vuole stabilire un rapporto personale con lui e vedere se da cosa può nascere cosa (mostrando che al Cremlino capiscono in pieno i segnali di apertura lanciati dalla nuova amministrazione americana, al netto delle dichiarazioni dure e delle sanzioni).
Già, le sanzioni. Le restrizioni all’acquisto del debito russo da parte delle istituzioni finanziarie a stelle e strisce sarebbero la parte dura, coi “denti”, della ritorsione Usa per le ingerenze russe ma la possibilità di trattare comunque i bond se acquistati da intermediari è stata subito notata con favore a Mosca. Dunque avanti.
Ma l’orgoglio vuole la sua parte. Via allora con le espulsioni – che vengono tecnicamente “suggerite” alla sede diplomatica Usa – così come è stato espresso “l’invito” all’ambasciatore americano John Sullivan di tornare a Washington per delle consultazioni. La stretta coinvolge anche i big dell’amministrazione Biden, l’Attorney General (Ministro della Giustizia) Merrick Garland, il capo dell’Fbi Christopher Wray, il consigliere per gli affari interni Susan Rice, il segretario alla sicurezza nazionale Alejandro Mayorkas e il capo dell’Intelligence nazionale Avril Haines. Tutti protagonisti, secondo Mosca, della campagna “anti Russia”. E per questo interdetti dall’ingresso nel Paese.
Il pacchetto di misure – che comprende anche il divieto alle sedi diplomatiche americane di assumere personale locale, o di paesi terzi, complicando, e non poco, il funzionamento di strutture così complesse – è stato poi illustrato allo stesso Sullivan nel corso di un colloquio al Cremlino. Tutte accortezze che, nell’universo diplomatico dove la forma è sostanza, danno l’idea di una reazione tutto sommato misurata.
Dunque è davvero paradossale ma oggi, tra sanzioni ed espulsioni, un tentativo di disgelo tra Mosca e Washington, o perlomeno la volontà di non sprofondare ancora più in basso, pare probabile. Molto di più che pochi giorni fa.
Ed è botta e risposta di espulsioni anche con la Polonia: dopo la mossa di Varsavia che ha dichiarato tre diplomatici russi “persona non grata”, Mosca ha risposto, e rilanciato, con l’espulsione di cinque polacchi.
(di Mattia Bernardo Bagnoli/ANSA).