Faraglioni di Capri devastati per estrarre ‘datteri di mare’

Un fermo immagine tratto da un video della guardia di finanza di Napoli, 23 marzo 2021..
Un fermo immagine tratto da un video della guardia di finanza di Napoli, 23 marzo 2021.. (Uffifio Stampa Guardia di Finanza)

NAPOLI. – Martelli a percussione e anche esplosivi, per estrarre dalle rocce del Golfo di Napoli e dei Faraglioni di Capri i “datteri di mare”, pregiato mollusco appartenente a una specie protetta che poi veniva rivenduto anche a 200 euro al chilogrammo.

Va avanti da circa 30 anni l’aggressione ai litorali e al florido ecosistema dei litorali partenopei da parte delle due orgnizzazioni individuate dalla Guardia di Finanza di Napoli la quale oggi, al termine di complesse indagini durate ben tre anni, coordinate dalla Procura, ha notificato 19 misure cautelari: sei arresti in carcere, sei arresti ai domiciliari, un divieto di dimora nella provincia di Napoli, due nella Regione Campania, e quattro obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria.

I reati contestati agli indagati sono associazione a delinquere aggravata finalizzata alla consumazione di delitti ambientali, inquinamento e disastro ambientale, danneggiamento e ricettazione. Dalle attività è emerso che le operazioni illegali di prelievo del dattero dai Faraglioni dell’isola azzurra hanno provocato una desertificazione dell’ecosistema (flora e fauna) sul 48% delle pareti subacquee dei famosissimi simboli di Capri, prima ricoperte di vita, e ora desertificate.

Gli indagati sono complessivamente un centinaio e fanno tutti parte di due associazioni, una napoletana, l’altra stabiese-caprese, alle quali il Reparto Operativo Aeronavale dei finanzieri hanno sequestrato tre locali commerciali, tra Napoli e Castellammare di Stabia. Lì i datteri venivano nascosti prima dell’immissione in commercio. Sequestrati anche una somma di denaro ritenuta profitto della vendita, due natanti utilizzati per recarsi sui punti di prelievo della specie protetta e tutta la strumentazione usata per estrarre il “dattero” dalle rocce calcaree. L’estrazione avveniva, è stato scoperto, anche nelle acque torbide del Porto di Napoli.

A coordinare le indagini, particolarmente complesse, sono stati i magistrati della V sezione della Procura di Napoli, in sinergia con la Procura Generale presso la Corte di Appello di Napoli. Nel corso delle intercettazioni (i colloqui erano in codice) durate qualche mese, è emerso che le attività di estrazione sono andate avanti anche durante il lockdown e che le due associazioni erano riuscite, in quel breve lasso di tempo, a estrarre ben 8 quintali di molluschi venduti tra 100 e 200 euro al chilogrammo sul mercato nero dei “datteri di mare”.

L’inchiesta, per certi versi pionieristica, è stata integralmente accolta dal gip Egle Pilla, considerato il contributo fornito da esperti di caratura come il professore Giovanni Fulvio Russo, presidente della Società Italiana di Biologia Marina (SIBM) e il professore Marco Sacchi, dell’istituto Scienze Marine del CNR.

Una attività nella quale è confluito e adoperato tutto l’impianto accusatorio elaborato di recente in materia di delitti ambientali, che si poggia, tra l’altro, sulle convenzioni internazionali dell’UE e delle Nazioni Unite tese a tutelare l’ecosistema e le specie marine.

Una aggressione all’ambiente che riguarda anche altre zone: il comune di Vietri sul Mare, in costiera amalfitana, denuncia danni analoghi prodotti dai cercatori di datteri ai due scogli-simbolo del litorale, i ‘due fratelli’. “Per un piatto di linguine ai datteri si distrugge un quadrato di fondale di 33 cm per lato, un gesto criminale che danneggia l’ambiente e mina la salute dei consumatori perché immette sul mercato prodotti ittici non tracciati”, ricorda Fedagripesca-Confcooperative.

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