Pd: Letta vuole capigruppo donne, malumori nei Dem

Il vicesegretario del Pd Enrico Letta nella sede del Partito Democratico per una riunione con il segretario Pierluigi Bersani sulla riforma della legge elettorale,
Il vicesegretario del Pd Enrico Letta nella sede del Partito Democratico per una riunione con il segretario Pierluigi Bersani sulla riforma della legge elettorale, Roma, 3 dicembre 2012. ANSA/ CLAUDIO PERI

ROMA. – Enrico Letta prova a domare le correnti ma si alza la tensione interna. Eletto da una settimana e definita la squadra nella segreteria, l’ex premier detta ora la linea del suo nuovo Pd. Un partito guidato anche dalle donne (non solo come ‘vice’ degli uomini, nella migliore delle ipotesi) e pronto ad allearsi con i 5 Stelle, perché “se si va da soli, si perde”.

In pochi giorni sono usciti dal Nazareno messaggi chiari: ai suoi, perché i Dem siano coerenti con la parità di genere invocata e non rispettata; e a Matteo Renzi sulle alleanze. Era stato il leader di Italia viva a chiudere a ogni patto con i “populisti”, sfidando i Dem a schierarsi. E Letta non si fa pregare: così in una lunga intervista al quotidiano della sua regione, il Tirreno, indica le priorità del nuovo corso, partendo dalla richiesta di avere due donne come capogruppo alla Camera e al Senato.

Ma l”effetto tra i parlamentari Dem è pari a una bomba lanciata a sorpresa, spiazzando molti e irritando diversi. Quasi tutti, però, ufficialmente tacciono. Soprattutto a 48 ore dall’assemblea di deputati e senatori che martedì incontreranno Letta e che potrebbero confermare o mettere in discussione le presidenze dei gruppi. Un avvicendamento dettato, per prassi, dall’arrivo di un nuovo leader e contraddistinto dal voto segreto.

Al comando ci sono ora Graziano Delrio a Montecitorio e Andrea Marcucci al Senato. Letta propone apertamente di sostituirli con due donne, consapevole – aggiunge nell’intervista – che il Pd ha tre ministri e un segretario, tutti al maschile. Il rischio, azzarda, è di essere paragonati all’Ungheria di Orban o alla Polonia di Morawiecki.

Assicura che non è una bocciatura dei due attuali presidenti e che “assolutamente” non farà lui i nomi delle new entries, ma “saranno i gruppi a sceglierle e votarle”. Quindi fa leva sulla coerenza tra parole e fatti, sostiene la necessità di “leadership mischiate”. E taglia corto: “Siamo intorno a metà legislatura ed è giusto lasciare spazio a due donne”.

Ma la rivoluzione non è indolore. Dietro i nomi, e i ruoli acquisiti, ci sono le ‘correnti’ e di conseguenza voti che potrebbero condizionare le scelte. Non a caso Delrio, pur condividendo le parole di Letta, sottolinea che “l’autonomia dei gruppi parlamentari va rispettata”. Spetterà a loro, dunque, l’ultima parola. E rivendica, un po’ amareggiato, il suo impegno per la parità (“Mi sono battuto perché a 3 delle 5 presidenze delle commissioni alla Camera spettanti al Pd fossero indicate donne”).

Tuttavia, è a Palazzo Madama lo scoglio più arduo da superare: Marcucci vanta la maggioranza dei 36 senatori (l’ultimo si è aggiunto con il ritorno di Eugenio Comincini che ha lasciato Iv) che fanno capo a Base riformista, la corrente di Lorenzo Guerini e Luca Lotti. Difficile insomma immaginare un passo indietro di Marcucci, che potrebbe tentare di resistere al suo segretario. In alternativa, e della stessa corrente, potrebbe subentrargli Valeria Fedeli o Simona Malpezzi che però dovrebbe rinunciare al ruolo di sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento.

Se non si arriverà a un accordo con Letta, i rumors prevedono che i gruppi saranno comunque spaccati con l’ennesima crepa – sottolineano a registratori spenti – che si sarebbe potuta evitare, con buonsenso e cautela. Il partito in effetti non è in ottima salute, lo dimostrano anche le schermaglie tra la vicesegretaria Dem, Irene Tinagli e Stefano Vaccari, responsabile organizzazione della segreteria. In ballo, le critiche di Tinagli su un partito che finora si sarebbe ‘guardato l’ombelico’, e che non vanno giù a Vaccari. (“Forse è il caso che prima di parlare, alzi il telefono e si informi su ciò che è stato fatto in questi 2 anni”).

In questa atmosfera di sospetti, il Pd di Letta rilancia le alleanze elettorali con il Movimento di Grillo senza provocare in questo caso fibrillazioni. “Vogliamo unire la sinistra e lavorare a un discorso comune con i 5 Stelle”, annuncia e argomenta: “Battere le destre sarà difficilissimo , non possiamo dividerci”. E aggiunge: “Non mettiamo veti e non ne vogliamo”. Parole dirette allo storico avversario, quel Renzi che “sbaglia atteggiamento” sui pentastellati. E rilancia la palla al premier a cui dovette cedere la campanella sette anni fa: “Adesso decida lui da che parte stare”.

(di Michela Suglia/ANSA)

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