Covid, psichiatra: “Dal ricordo spinta per il futuro”

Medici ed infermieri al lavoro nei reparti di terapia intensiva dell' ospedale modulare Covid allestito nell'area dell'Ospedale del Mare e Napoli
Medici ed infermieri al lavoro nei reparti di terapia intensiva

ROMA. – È un bilancio pesante quello della Giornata dedicata alle vittime del Covid, che si celebra oggi. Ma al tempo stesso un momento in cui il ricordo si fa importante proprio per guardare al futuro. Ne è convinto Enrico Zanalda, co-presidente della Società italiana di psichiatria.

Centotremila vittime e l’immagine, esattamente un anno fa, delle bare portate via da una Bergamo vuota in una straziante processione dai mezzi militari, senza che a chi era deceduto per Covid potesse essere dato l’ultimo saluto. Eppure proprio dal dolore provato può nascere- secondo l’esperto-una rinnovata unità, anche nella lotta a una pandemia che non è ancora finita.

“Quello di Bergamo è stato uno shock- spiega Zanalda- ci ha messo davanti a un’immagine che rimane scolpita in tutti noi, come istantanea del dolore che si può provare per la perdita di un numero così importante di persone e anche per non poterle seguire, per non poter celebrare il rito del funerale come avremmo voluto e che aiuta ad elaborare il lutto, per non poter stare loro vicino a causa delle limitazioni imposte dalla pandemia”.

“Le bare sole -aggiunge- sono l’emblema della persona che si allontana in solitudine. Questo ci ha fatto molto male, ci ha fatti sentire ancora più soli di fronte alla morte. Il ricordo ci può dare però una dimensione di umanità, ricordarci che dobbiamo rimanere uniti. Uniti nel ricordo, nel dolore e anche nella lotta contro questa pandemia che deve essere il più possibile univoca. Facendo magari scelte importanti come quella della vaccinazione e del rispetto delle regole per ridurre i contagi. Il ricordo ci accomuna tutti, invece che dividerci: davanti a quella che è la tragicità della morte siamo tutti uguali”.

“Dobbiamo ricordare-specifica Zanalda- per non dimenticare queste persone che sono mancate, che sono in un certo qual modo anche sacrificate, e che ci hanno fatto ‘imparare’ come trattare la malattia, come sopravvivere. È grazie a loro che siamo riusciti tutto sommato ad andare avanti”.

La maggior parte delle vittime di Covid erano anziane, una generazione importante perché depositaria in qualche modo di una memoria collettiva. “Perdendoli-conclude l’esperto – a livello familiare e individuale ne abbiamo riscoperto il valore. A livello collettivo forse non così tanto. O perlomeno non ancora abbastanza”.

(di Elida Sergi/ANSA)

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