Pechino avrà potere di veto sulle elezioni a Hong Kong

Il Presidente cinese Xi Jinping. Cina
Il Presidente cinese Xi Jinping. EPA/CHRIS RATCLIFFE / POOL

PECHINO. – La Cina sferra l’affondo decisivo al modello Hong Kong conosciuto negli ultimi 24 anni, confezionando una bozza di riforma del sistema elettorale che praticamente darà a Pechino il diritto di veto decisivo e finale sulle candidature.

Il via libera, alla presenza del presidente Xi Jinping, è maturato all’unanimità nella Grande sala del popolo di Piazza Tienanmen, dove nell’ultimo giorno dei lavori 2.895 delegati del Congresso nazionale del popolo, il ramo legislativo del parlamento, si sono espressi a favore, con l’unica nota di colore di un astenuto e l’assenza di voti contrari.

La risoluzione approvata affiderà alla Commissione elettorale il potere di bloccare ed escludere i candidati sgraditi, nominando e scegliendo al tempo stesso e in modo diretto “una quota relativamente larga” di parlamentari secondo la lealtà mostrata verso Pechino, come “patrioti”.

Il metodo scelto sarà di incrementare i deputati del Consiglio legislativo (da 70 a 90), il mini-parlamento di Hong Kong, con il proposito di diluire il peso dei candidati eletti democraticamente. In più, il peso dei componenti pro-Pechino saliranno nella Commissione elettorale, il cui compito è la scelta del capo esecutivo (una sorta di governatore) dei territori, portandoli da 1.200 a 1.500.

Sulla base della risoluzione, il Comitato permanente del Congresso comincerà a rivedere l’Annex della Basic Law, la mini-Costituzione di Hong Kong, che definisce le modalità di elezione del capo esecutivo e del Consiglio legislativo. A processo ultimato, il governo dell’ex colonia provvederà a aggiornare le relative leggi.

L’opera di marginalizzazione delle voci democratiche della città, in risposta alle proteste anche violente del 2019, ha registrato le prime critiche da Londra. Il ministro degli Esteri britannico, Dominic Raab, ha definito la mossa “l’ultimo passo per svuotare lo spazio del dibattito democratico a Hong Kong” e una prova di forza che “mina la fiducia” della comunità internazionale verso la Cina.

Da Pechino, nella conferenza stampa a chiusura dei lavori del Congresso, il premier Li Keqiang ha difeso la modifica del sistema elettorale che assicurerà il governo della città “solo ai patrioti”, rafforzando il modello “un Paese, due sistemi”, quello con cui l’ex colonia e il governo centrale regolano i loro rapporti dal 1997, anno della restituzione dei territori da parte della Gran Bretagna.

Mentre la governatrice Carrie Lam ha espresso “sincera gratitudine” al Congresso nazionale del popolo per la misura, utile a risolvere il problema della troppa politica nel parlamentino locale. Lam, in una nota, ha ribadito che il disegno della struttura politica fa capo al governo centrale e che i “miglioramenti” previsti porteranno la città sulla retta via.

Il principio dei “patrioti che amministrano Hong Kong” sarà implementato e il governo svilupperà l’economia “col fermo sostegno di Pechino”, ha detto Lam, respingendo le critiche della comunità internazionale.

Il tema Hong Kong, con altri altrettanto spinosi come Taiwan, i diritti umani nello Xinjiang, il commercio e le tensioni territoriali nelle acque intorno alla Cina, saranno nell’agenda del vertice che il 18 e il 19 marzo si terrà in Alaska, ad Anchorage, tra i capi delle diplomazie di Washington e Pechino per avviare un disgelo dopo le tensioni degli ultimi anni.

Sarà il primo incontro di persona tra alti rappresentanti dei due Paesi dall’insediamento di Joe Biden. Il segretario di Stato Antony Blinken e il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan vedranno Yang Jiechi, membro del Politburo e capo della diplomazia del Pcc, e Wang Yi, consigliere di Stato e ministro degli Esteri.

(di Antonio Fatiguso/ANSA)

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