Un anno di pandemia, 2,6 milioni di morti per Covid

Una coppia con mascherine visita il Quartiere dell'Arte a Los Angeles.
Una coppia con mascherine visita il Quartiere dell'Arte a Los Angeles. California, USA, (ANSA/EPA/ETIENNE LAURENT)

ROMA. – Un anno nero per l’umanità. L’11 marzo del 2020 l’Oms dichiarava lo stato di pandemia. E 365 giorni dopo, i numeri danno il senso dell’impatto devastante del Covid-19: 117 milioni di persone contagiate in tutto il mondo, 2 milioni e 600.000 morti.

Anche l’Italia ha pagato un conto salatissimo, con oltre 100mila vittime, ed un tasso di mortalità tra i più alti rispetto alla popolazione.

La pandemia ha colpito duramente perché ha colto il mondo alla sprovvista. Quando il 31 dicembre 2019 la città cinese di Wuhan segnalò i primi casi di una polmonite sconosciuta, non ci fu il tempo di prevedere che il Covid-19 si sarebbe diffuso così in fretta e con tale portata.

Le immagini di una metrópoli fantasma, con 11 milioni di persone chiuse in casa in quarantena, apparivano lontanissime. Fino a quando, neanche 2 mesi dopo, il virus identificato come Sars-Cov-2 varcò le porte dell’Europa, in Italia.

Per poi dilagare in tutti i continente con una progressione costante. L’11 marzo 2020 i contagi fuori dalla Cina erano aumentati di 13 volte in 2 settimane, i Paesi raggiunti si erano triplicati: quel fatidico giorno l’Oms dichiarò che l’impatto del coronavirus aveva assunto le dimensioni di una pandemia.

L’unico modo per fronteggiare l’infezione, in assenza di una cura o di un vaccino, è stato quello di vietare i contatti tra le persone. Lockdown più o meno estesi, proprio sul modelo cinese, che oltre a stravolgere la vita di ogni giorno, rompendo il legame sociale, hanno provocato il crollo delle attività economiche. Mentre ogni giorno i più deboli continuavano a morire e gli ospedali venivano travolti dai malati.

Per un anno il coronavirus ha colpito a intermittenza. Arginato dalle misure restrittive, ha ripreso a diffondersi dopo la ripresa della vita associativa, la scorsa estate. Grazie anche ad una straordinaria capacità di rigenerarsi, attraverso varianti ancora più aggressive. L’Europa ne sta facendo ancora le spese, affrontando la terza ondata della pandemia.

Da due mesi a questa parte, tuttavia, c’è un’arma per combattere il virus, il vaccino, che si sta dimostrando risolutiva. Perché i Paesi veloci nelle campagne di immunizzazione sono vicini come non mai alla fine dell’emergenza.

É il caso ad esempio di Israele, che ha riaperto quasi tutto, dopo aver vaccinato l’intera popolazione. E della Gran Bretagna, che registra contagi ai minimi da questa estate e sta riaprendo le scuole ai suoi ragazzi (35% della popolazione vaccinata ed eccellenti capacità di tracciamento, oltre 1,3 milioni di test al giorno).

Anche negli Stati Uniti c’è ottimismo.  Il Paese più malato del mondo, afflitto da 29 milioni di contagi e 530mila morti, potrebbe tornare alla normalità a fine maggio. Quando, secondo Joe Biden, ci saranno dosi di vaccino sufficienti per tutta la popolazione. Il Texas, nel frattempo, ha già riaperto al 100%.

Al contrario l’Unione Europea è ancora in piena emergenza, perché le dosi arrivano troppo lentamente. Tanto che dall’Italia alla Germania, dalla Francia all’Olanda, si continua a parlare di lockdown, zone rosse e festività pasquali blindate. Come a Natale. Mentre il Brasile, che ha vaccinato solo il 5% della popolazione, è messo ancora peggio: duemila morti in 24 ore e ospedali tornati sull’orlo del collasso.

(di Luca Mirone/ANSA)

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