Stallo nel Pd, Zingaretti chiede chiarezza

Il segretario del Partito Democratico Nicola Zingaretti nella sede del Pd al termine del voto per il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari,
Il segretario del Partito Democratico Nicola Zingaretti nella sede del Pd al termine del voto per il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari, Roma, 21 settembre 2020. ANSA/ANGELO CARCONI

ROMA. – La settimana che si chiuderà con l’assemblea Pd si è aperta senza schiarite. Le varie anime del partito sono alla ricerca di una soluzione unitaria alla crisi, dopo le dimissioni del segretario Nicola Zingaretti. Ma, al momento, il cerchio è tutt’altro che chiuso. Dei vari scenari che si profilano, nessuno pare abbia la forza di imporsi sugli altri. Fra i dem c’è chi auspica che sia Zingaretti a togliere le castagne dal fuoco, tornando sui suoi passi.

Ma gli “uomini dell’ (ex) segretario” ritengono che un suo ripensamento sia proprio difficile. Allora dall’assemblea di sabato e domenica potrebbe uscire il nome del nuovo numero uno o di un reggente. In questa situazione di incertezza, c’è anche chi ritiene che tanto valga convocare il congresso. Potrebbe affacciarsi l’idea di un’assise on line ma, statuto alla mano, non sembra una soluzione di facilmente praticabile. Senza considerare che non tutte le componenti del partito sono pronte a digerire questa ipotesi.

Sembra invece sfumare l’eventualità che, nell’attesa di trovare una via di uscita, l’assemblea venga rinviata. Proprio oggi è in programma una riunione dell’organismo incaricato di gestirla, guidato dalla presidente del Pd, Valentina Cuppi. Intanto sono riprese a circolare le voci di un pressing su Enrico Letta da parte della maggioranza dem e anche di alcuni settori della minoranza.

A margine di una iniziativa a Roma, Zingaretti ha chiesto di nuovo uno stop alle polemiche. “C’è stato in questi mesi un gruppo dirigente vicino a me, a cominciare da Orlando, Franceschini, D’elia, Cuperlo, Zanda, Cuppi, Bettini, De Micheli, Oddati e Chiara Braga e tanti altri e tanti sindaci amministratori e dirigenti nei territori – ha detto – Ho fiducia che ci sarà la forza e l’autorevolezza per fare chiarezza dove io non sono riuscito e a rilanciare insieme un progetto per l’Italia”.

Malgrado i continui “non farò passi indietro”, fra i suoi c’è chi spera che Zingaretti possa tornare a guidare il partito. “Da tanti circoli e da tante federazioni – ha detto il dirigente Pd Stefano Vaccari – sono arrivati atti politici e documenti in cui a Nicola viene chiesto un ripensamento”.

Non sarebbe una retromarcia. L’auspicio di chi lo vorrebbe di nuovo in sella è che questo orientamento si imponga in assemblea e che Zingaretti accetti. A tentarlo – è il ragionamento – potrebbe essere la forza che gli darebbe una soluzione del genere, che spegnerebbe quelle polemiche interne che lo hanno indotto a lasciare, comprese le richieste di un congresso. Non pare però che si tratti di una prospettiva su cui il partito scommette.

Le varie correnti stanno quindi dialogando alla ricerca di una personalità che possa andare bene a tutti. Fra i nomi che circolano, i più quotati sono quelli di Roberta Pinotti e Anna Finocchiaro – anche in risposta alle polemiche sulla rappresentanza di genere – e di Piero Fassino. Ma c’è anche quello del vicesegretario Andrea Orlando.

E in giornata è circolato quello dell’ex ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri. Oltre al fatto che qualcuno ha buttato là l’ipotesi Walter Veltroni. Ma in serata sono riprese a circolare con insistenza le voci di un pressing su Enrico Letta da parte della maggioranza dem e anche di alcuni settori della minoranza. La soluzione sarebbe nelle mani della corrente franceschiniana, sia per il ‘peso’ nel partito, sia nelle vesti di mediatrice fra l’anima zingarettiana e la minoranza interna più corposa, quella di Base Riformista.

In questi giorni, quindi, oltre ai continui contatti telefonici, dovrebbero esserci riunioni tra i capicorrente. A rendere più complessa la vicenda ci sono poi due considerazioni. La prima riguarda la “gravità” del momento, con il governo di larghe intese appena nato e l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica alle porte.

La seconda si riferisce all’organizzazione di un’assemblea che dovrà riunire da remoto un migliaio di persone. Ecco, anche l’aspetto “virtuale” dell’incontro rende più difficile l’approdo a un accordo: le chiacchiere nei corridoi e i faccia faccia dietro le quinte di solito aiutano non poco.

(Di Giampaolo Grassi/ANSA)

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