Covid: Calcio a porte chiuse, un anno di solitudine

Lo statio allianz stadium della Juventus a Torino.
Lo stadio Allianz Stadium della Juventus a Torino vuoto in tempo di Covid-19. (ANSA/ ALESSANDRO DI MARCO)

ROMA. – Otto marzo 2020, Parma-Spal: recupero della 25esima giornata di serie A e ora 1 dell’era calcio al tempo della pandemia, con le tribune insolitamente vuote e uno strano balletto tra tamponi impazziti e quel ritornello, “si gioca o no?”. Sembrava una inquietudine passeggera, è diventata la normalità.

Da quel giorno sono passati 12 mesi, un anno di solitudine per il calcio dopo più di 100 di passione e stadi pieni. La pandemia che ha stravolto il mondo non ha risparmiato lo sport preferito dagli italiani, deciso peraltro a resistere. Ma da quel giorno è stato come andare sulle montagne russe delle emozioni.

Il 10 marzo, la Figc ratifica la sospensione del campionato, di tutti i campionati, in base al decreto del governo per l’emergenza coronavirus. Non era mai successo, se non nel corso della Prima Guerra mondiale quando il calcio non era certo il fenomeno sociale di oggi. E’ uno stop al campionato che a lungo si teme possa essere definitivo.

Il calcio sparisce dai radar, ma anche dall’interesse generale. L’Italia chiusa in casa per il lockdown piange le vittime, si trova le tasche sempre più vuote e se sventolano le bandiere dalle terrazze sono quelle dell’Italia, non quelle delle squadre. Ma dopo un tira e molla con il Cts, il ministero della salute, quello dello sport, alla fine il calcio riesce a ripartire.

Il 20 giugno il campionato riprende, sempre a porte chiuse e con un rigido protocollo anti covid-19 da rispettare: la voglia di tornare in campo è tanta. Tra le novità, la possibilità di fare cinque sostituzioni. L’assenza del pubblico si fa sentire non solo sui bilanci delle società, tutti finiti in rosso. Senza il ’12/o uomo’, il fattore campo praticamente si annulla, i giocatori hanno meno pressione ma commettono anche più errori: “E’ più facile distrarsi”, osserva qualche ex calciatore ora opinionista.

Intanto i microfoni delle tv amplificano ogni colpo, ogni parola: i protagonisti cercano di ‘trattenersi’ per evitare sanzioni, ma le bestemmie purtroppo si sentono forte e ogni tanto arriva la punizione del giudice sportivo per i blasfemi.

Fatto sta che il 2 agosto la stagione 2019/20 arriva al traguardo: a vincere lo scudetto, come negli otto anni precedenti è la Juventus. Sei giorni dopo, però, in seguito alla eliminazione dalla Champions League, il club bianconero esonera l’allenatore, Maurizio Sarri, e affida la squadra ad Andrea Pirlo.

Il 19 settembre in un fervore di speranze comincia la stagione 2020/21. Il governo concede la presenza di mille persone, perché i rischi di contagio non consentono di accogliere le richieste delle società di arrivare al 25/30% della capienza degli stadi.

Il 4 ottobre, alla terza giornata, il virus entra prepotentemente in campo in occasione di Juventus-Napoli. La Asl competente ferma la squadra azzurra che deve raggiungere Torino, causa positività di alcuni giocatori. Tra giudizi e ricorsi, la sconfitta 0-3 inflitta a Napoli è annullata, la gara si giocherà il 17 marzo.

Il 25 ottobre la parentesi di speranza si chiude: un nuovo Dpcm obbliga il ritorno alle porte chiuse negli stadi di serie A, il virus non dà tregua. Nel frattempo, gli equilibri sono cambiati: la Juventus non è più egemone, in testa al campionato si piazzano prima il Milan e poi l’Inter, è la restaurazione del calcio milanese.

Ma il 2020 è davvero l’anno più brutto: il 25 novembre, paradossalmente abbandonato da chi lo doveva seguire, muore Diego Armando Maradona. Il 9 dicembre tocca a Paolo Rossi, e la sua morte sembra il contrappasso di uno dei suoi tanti gol: improvvisa, inaspettata. Per lui anche lo sfregio del furto in casa mentre tutta Italia lo piange nel giorno del funerale.

Il 30 gennaio scorso comincia il girone di ritorno. La riapertura degli stadi torna ad essere evocata, pur restando solo tema di incontri e proposte: l’obiettivo è arrivarci con la primavera, anche in vista dell’Europeo, ma a comandare è sempre il virus, che non molla la presa. Infatti il 26 febbraio salta Torino-Sassuolo per un cluster di contagi tra i granata, gara rinviata al 17 marzo. Il 2 marzo si replica: la squadra piemontese è in quarantena per ordine della Asl, salta Lazio-Torino e si profila un nuovo caso Napoli.

L’anno più brutto non è ancora finito: si è preso il recupero, e non c’è nemmeno la giustificazione della Var.

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