Birmania: proteste nelle università contro il golpe

Studenti dell'Universitá di Dagon fanno il segnale delle tre dita. simbolo del movimiento di disobbedienza in protesta contro il golpe dei militari in Yangon, Birmania.
Studenti dell'Universitá di Dagon fanno il segnale delle tre dita. simbolo del movimiento di disobbedienza in protesta contro il golpe dei militari in Yangon, Birmania. EPA/LYNN BO BO

BANGKOK. – I generali golpisti continuano con gli arresti di dissidenti, ma la protesta della popolazione si espande sempre più. Nel giorno in cui è giunta conferma che Aung San Suu Kyi è stata trasferita agli arresti domiciliari e sta bene, in Birmania oggi migliaia di persone hanno gridato il loro “no” al colpo di stato dopo dieci anni di fragile democrazia, sfidando una giunta che finora si è dimostrata decisa ad andaré avanti nonostante le condanne internazionali.

A Yangon, la più grande città del Paese, centinaia di studenti e professori dell’università Dagon si sono riuniti in una protesta pacifica all’ateneo, facendo il gesto con le tre dita alzate ormai simbolo della protesta ed esibendo cartelli con i messaggi “Rilasciate i nostri leader. Rispettate i nostri voti. Respingiamo il colpo di stato”.

Manifestazioni simili si sono tenute in altre università, con le foto rilanciate sui social media, in scia ad altre proteste e sit-in di medici e dipendenti statali nei giorni scorsi. Nonostante il blocco di Facebook ordinato ieri, sugli altri social network il dissenso corre veloce, senza la paura di ripercussioni da parte delle autorità. E nelle strade, si moltiplicano gli automobilisti che suonano il clacson in segno di protesta.

Nel frattempo, però, il giro di vite dei generali contro politici e critici della società civile non si ferma. Oggi è stato arrestato Win Htein (79 anni), un braccio destro di Suu Kyi, e già con un passato di 18 anni in carcere come prigioniero politico durante la dittatura.

Secondo l’Associazione dei prigionieri politici, almeno 150 persone sono state arrestate nei quattro giorni passati dal golpe. A parte Suu Kyi, detenuta nella sua residenza nella capitale Naypyidaw e “in buona salute”, secondo un portavoce della sua Lega nazionale per la democrazia, degli altri non si hanno notizie.

Unanimi finora le condanni della comunità occidentali. Ieri il presidente statunitense Joe Biden ha esortato i generali a “rinunciare al potere”, evocando la possibilità di sanzioni in caso contrario. Più tiepidi i toni del Consiglio di sicurezza dell’Onu, dove Cina e Russia si oppongono a condannare il regime.

Il capo delle forze armate Min Aung Hlaing, assumendo i pieni poteri, ha azzerato in un colpo solo i graduali progressi di un decennio di transizione verso la democrazia altamente imperfetto, ma che era comunque aria fresca rispetto alla soffocante dittatura di mezzo secolo che l’aveva preceduto.  Ma forse non hanno fatto i conti con la rapida diffusione dei social media e con il potenziale di diffusione delle proteste che portano con sé.

(di Alessandro Ursic/ANSA)

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