L’America profonda e solitaria, culla ultrà Trump

Ultrá di Trump si arrampicano sulle mura del Campidoglio a Washington.
Ultrá di Trump si arrampicano sulle mura del Campidoglio a Washington. (Ansalatina)

ROMA. – Un esagitato con le corna e a torso nudo, personaggi barbuti eredi di gang motociclistiche degli anni Settanta, ma anche un’ex aviatrice che finisce per farsi uccidere in un folle assalto al Congresso degli Stati Uniti. Ma da dove viene fuori questa variegata armata che ha lasciato sgomenti gli Usa con la sua azione eversiva?

Nel suo fondamentale saggio “La democrazia in America”, Alexis de Tocqueville scriveva che la cosa che più lo aveva colpito nei suoi viaggi americani (1831) era “l’eguaglianza delle condizioni”. Un’annotazione che nell’America divisa – anzi, lacerata – di oggi non ha più cittadinanza.

Le folle di ultrà trumpiani inferociti davanti e dentro al Campidoglio non hanno infatti quasi più nulla in comune con la stragrande maggioranza di americani – democratici ma anche molti repubblicani – che hanno votato alle presidenziali e accettato il responso delle urne in favore di Joe Biden.

Eppure quell’America marginale non è una novità recente. Lontana dalle metropoli progressiste – in nessuna grande città il voto ha favorito Donald Trump – c’è da sempre una fetta di americani isolati, solitari, spesso fondamentalisti religiosi e rigorosamente armati che vive in remoti villaggi o negli immensi sobborghi residenziali tutti uguali, dalla Florida allo stato di Washington.

Un’umanità che percepisce il mondo ‘esterno’ come una costante minaccia ai “valori americani” (o quelli che loro considerano tali). Fino a quindici anni fa, questo mondo era frammentato, di fatto ininfluente, anche perché non andava a votare: ma l’avvento dirompente dei social media li ha compattati, dato loro un’identità “contro” nella quale riconoscersi.

E un presidente americano con pochi scrupoli ha usato quelle stesse piattaforme che diedero la vittoria a Barack Obama esaltando il rancore di questo elettorato, regalando loro uno slogan tanto semplice quanto memorabile – Make America Great Again – e un cappello da baseball rosso diventato una bandiera identitaria.

Il messaggio di Trump (dal suo palco su Twitter e puntualmente avallato da media amici), zeppo di bugie e mezze verità, ha fornito una giustificazione, anzi un elogio, a tutte le avversioni di questo mondo: i democratici, gli afroamericani, gli immigrati, gli omosessuali, chiunque chieda limitazioni alle armi. Senza dimenticare i complotti gestiti dalla finanza ebraica mondiale, Soros in testa. E quel “vi voglio bene, siete speciali” di ieri ha giustificato anche l’ultima azione, un assalto al tempio della democrazia americana.

Ma se la parte più folcloristica è molto visibile, quella meno appariscente è assai più numerosa.  Tra i 70 milioni di voti presi da Trump – non tutti estremisti, ovviamente – si celano  anche le famiglie che si incontrano ai Gun and Knife Show, le popolarissime fiere dove si può comprare ogni genere di arma ed attrezzatura militare.

O i seguaci delle migliaia di chiese fondamentaliste bianche del Sud, dove la chiusura ai cambiamenti è totale. O i componenti in mimetica e mitra a tracolla delle milizie che rifiutano ogni intrusione del governo.

Probabilmente qualcuno di loro è andato davanti a Capitol Hill, ma molti sono rimasti a guardare la tv, o davanti al pc, ad annuire ascoltando le accuse di brogli elettorali del ‘loro’ presidente. Una parte sempre meno insignificante dell’America che non svanirà il 20 gennaio.

(di Patrizio Nissirio/ANSA)

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