Conte non molla Mes e Servizi: “Avanti solo se fiducia”

Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, durante una videoconferenza.
Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, durante una videoconferenza. (Ufficio Stampa Palazzo Chigi)

ROMA. – “La crisi non è nelle mie mani: si va avanti se c’è la fiducia dei partiti di maggioranza” ma “sono disposto a discutere nell’interesse del Paese, non di singole parti”. Giuseppe Conte fissa la sua asticella. Incassata da Matteo Renzi una – tesissima – tregua natalizia, lavora per scongiurare la crisi. Ma non cederà, fa intendere, su tutto, non resterà a ogni costo. La fiducia, ricorda, gliel’ha data il Parlamento. Da lì si passerà, sembra sottintendere, in caso di crisi.

Il premier apre sul Recovery fund: saranno rivisti i progetti e ridiscussa la task force per monitorarli. Ma non cambia idea sul Mes, che sarebbe “un fardello per le prossime generazioni”. E avoca a sé la delega ai Servizi segreti. Bolla come “chiacchiericcio” l’ipotesi di farsi affiancare da due vicepremier. E indica il vero obiettivo: per la “ricostruzione” arriveranno “oltre 300 miliardi” dall’Ue, non solo il Recovery, e se il governo fallirà nell’usarli andrà a casa “con ignominia”.

Ma a Iv non sembra bastare: “Senza un segnale su Mes e Servizi, Conte andrà avanti senza di noi”, dice un dirigente. Conte e Renzi parlano in due interviste tv, in un confronto a distanza che promette di proseguire nelle prossime settimane. Il leader di Iv canta vittoria “sul metodo”, con un “passo avanti” sulla cabina di regia del Recovery. Aggiunge che non crede si andrà al voto perché una maggioranza in Parlamento c’è. Non specifica però quale maggioranza.

Attacca il M5s che si è smarcato dal governo sulla Tav, dice che pur di non andare a casa i Cinque stelle sono pronti a votare “molto” e li invita a un tavolo sul Mes. E a Dario Franceschini che “minaccia” il voto, ribatte che la decisione spetta al Colle e lui “non è il Ribery della politica” ma comunque il suo è un “bluff”.

Nella maggioranza c’è chi sostiene che anche quello di Renzi sia un “bluff”, dal momento che non tutti i parlamentari di Iv lo seguirebbero se una crisi di governo potesse portare al voto. C’è chi ipotizza poi che i renziani possano spostare il redde rationem alla primavera, quando il semestre bianco per l’elezione del presidente della Repubblica chiuderà la finestra elettorale.

Ma da Iv assicurano che “tutto è aperto”, come dice Renzi, e se a inizio gennaio non arriveranno risposte le ministre Iv potrebbero lasciare il governo e aprire formalmente una crisi che potrebbe portare a un “Conte ter” o anche a un “Draghi 1”.

Su nuovi assetti per ora il premier non si sbilancia, perché non interessano “ai cittadini”. Dice che nessuno dei partiti di maggioranza gli ha chiesto un rimpasto, ma non lo esclude: “Ci vuole rispetto per i ministri, ma quando dicevo che sono i migliori usavo un’iperbole, anche io sono sostituibile”.

Nega un proprio partito, ma respinge il pressing per mollare la delega ai Servizi: “la responsabilità” spetta al premier, anche se sceglie di delegare qualcuno (un tecnico, auspica Renzi). Sarebbe perciò “un’anomalia” passare la delega a un esponente di un partito di maggioranza (leggi Pd): “Una struttura bicefala sarebbe una grave compromissione dell’operatività dell’intero comparto”.

Quanto al Mes, rinvia al Parlamento per una decisione, ma non molla, spiegando che il prestito comporterebbe altro debito. Così come il Recovery, ribatte Iv, che lo accusa di una “posizione ideologica”. Sui fondi alla sanità minaccia di accendersi lo scontro in maggioranza la prossima settimana, quando i partiti porteranno le loro proposte al premier (per poi aprire un tavolo di confronto al Mef).

L’idea era un Cdm per approvare una bozza aggiornata del Recovery a ridosso di Capodanno (magari il 31), ma potrebbe slittare ai primi giorni dell’anno. “Bisogna correre o rischiamo di essere in ritardo”, avverte Conte, facendo suoi i timori di Enzo Amendola e anche di Romano Prodi.

Quanto alla cabina di regia, dice che una struttura di monitoraggio la chiede l’Europa: vorrebbe un solo soggetto responsabile, spiega, ma lui ha deciso di farsi affiancare da Gualtieri e Patuanelli. Però sui sei supermanager che vigileranno sui progetti apre a modifiche. Si sta lavorando a una “struttura di missione”, spiega Roberto Gualtieri, che sarà disciplinata da un decreto legge. Prima, però, servirà l’accordo politico. La strada è ancora lunga e accidentata.

(di Serenella Mattera/ANSA)

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