Il dissidente cinese Dalù ora è rifugiato in Italia

IL dissidente cinese Dalú nel Vaticano ed il passaporto da rifugiato, in una composizione grafica.
IL dissidente cinese Dalú nel Vaticano ed il passaporto da rifugiato, in una composizione grafica. (Ansalatina)

ROMA.  – Una vita da perseguitato. Da quando alle elementari una paginetta sgualcita del libretto rosso di Mao si staccò e cadde per terra al 4 giugno del 1995, quando commemorò in diretta radiofonica l’anniversario di Piazza Tienanmen, l’attivista cinese Dalù ha subito per quasi 50 anni violenze e soprusi da parte del governo di Pechino. Oggi ha finalmente ottenuto lo status di rifugiato in Italia, dove è fuggito un anno fa.

“Quando ha visto il passaporto blu non ci credeva. É un miracolo di Natale”, ha raccontato all’ANSA l’avvocato Luca Antonietti che segue il caso di Dalù da quando si è trasferito nelle Marche nel settembre dell’anno scorso, sulle orme del missionario gesuita Matteo Ricci che a fine 500 portò il Vangelo in Cina.

“É una terra alla quale è molto legato. Qui ci sono persone che gli vogliono bene ma conduce una vita molto ritirata, non ha contatti con la comunità cinese locale”, ha spiegato l’avvocato che ha accolto l’attivista nella sua famiglia.

La vita di Dalù, pseudonimo che vuole dire “Cina continentale”, cambiò per sempre il 4 giugno del 1995. All’epoca era un reporter molto noto ed aveva un suo programma a Radio Shanghai. Nove anni prima aveva preso parte alle manifestazioni in favore degli studenti e dei lavoratori radunati a Piazza Tienanmen per chiedere democrazia e la fine della corruzione in Cina ma non scrisse una riga sul massacro e poi fu costretto a firmare un documento nel quale si pentiva di aver partecipato alla protesta e negava che “ci fosse mai stata una strage”.

Quel giorno, invece, decise di commemorarla. “Voglio rammentare agli ascoltatori che oggi è un giorno speciale da ricordare. Il nome della prossima canzone è: Anniversario”, disse alla fine del programma. Fu licenziato in tronco e obbligato ad ammettere “la sua colpa”. Su tutti i suoi documenti fu messo un timbro che ricordava “il grave incidente politico” di cui si era reso protagonista.

“La voce libera di Tienanmen” non avrebbe mai più trovato un lavoro. Nel 2010 si convertì al cattolicesimo e di nuovo fu ripetutamente minacciato e perseguitato per la sua vicinanza al vescovo di Shanghai, monsignor Ma Daqin.

Nel 2019 la decisione di fuggire in Italia. Dopo un breve periodo a Roma si è trasferito nelle Marche, dove ha conosciuto l’avvocato Antonietti che da quel momento si è dedicato alla causa di Dalù. Un lavoro lungo e meticoloso per ricostruire tutte le persecuzioni, politiche e religiose, subite dall’attivista. Il percorso per ottenere lo status di rifugiato “è autonomo dalla politica”, ha raccontato il legale, spiegando di non essere dovuto ricorrere all’autorità giudiziaria.

“Grazie Italia per avermi dato libertà, sicurezza e dignità”, ha scritto l’attivista cinese sul suo account Twitter súbito dopo aver ricevuto il passaporto blu. Dalù potrà continuare a vivere nel nostro Paese e dopo cinque anni di residenza diventerà cittadino italiano. Nel suo futuro c’è la stesura di un libro che sarà pubblicato negli Stati Uniti. E lo studio dell’italiano. Ma il suo vero sogno è tornare alla radio per raccontare il cattolicesimo ai cinesi.

(di Benedetta Guerrera/ANSA)

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