Brexit: deal o no deal, Gb e Ue all’ora della verità

Brexit
Bandiere di Eruopa e del Regno Unito

LONDRA.  – L’accordo è dietro l’angolo, appeso all’amo di un ultimo scoglio piccolo quanto roccioso. La pesca, o meglio l’accesso post Brexit dei pescatori europei (francesi e danesi in primis) alle acque attorno alle isole britanniche.

E tuttavia dietro angolo c’è anche il fallimento definitivo degli estenuanti colloqui sulle relazioni commerciali del dopo divorzio fra Ue e Regno Unito, con l’ombra tutt’altro che dissolta di un no deal potenzialmente rovinoso se non si riuscirà a far quadrare il cerchio su tutto il pacchetto nelle poche “ore” rimaste a disposizione dei negoziatori guidati da monsieur Michel Barnier e da lord David Frost: quanto di più francese e di più inglese si possa immaginare.

Le trattative sono proseguite frenetiche a Bruxelles, di fatto a tempo scaduto, e dal tavolo nessuno sembra disposto ad alzarsi con un “non possumus”. Ma i messaggi incrociati, fra allarmi reali sui nodi più intricati e tentativi di condizionare la controparte, restano per adesso da ultima spiaggia.

Da un lato Barnier che evoca “il momento della verità”  a un passo, “qualche ora” al massimo, per risolvere il dilemma e avere lo spazio necessario a ratificare e a far entrare i vigore un’eventuale intesa il primo gennaio, fra due settimane esatte. Scadenza della fase di transizione fissata tassativamente da Londra, ricorda.

Dall’altro Boris Johnson che da Manchester ripete di volere anche lui un accordo di libero scambio con i 27, ma aggiunge come a questo punto sull’ostacolo pesca (lo 0,1% scarso del contesto economico in ballo) debbano essere “gli amici europei” a fare concessioni “sostanziali”: o forse a indorare la pillola.

La telefonata di ieri sera fra il primo ministro Tory e la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha confermato che di staccare la spina non se parla. Almeno non ancora. Ma l’Europarlamento vuole un testo, se testo ci sarà, per domenica al massimo. E invece le divergenze residue, a dispetto dei “progressi significativi” sbandierati ieri da von der Leyen ormai sul 97% se non sul 99% dei dossier, stentano a dissolversi.

“É il momento della verità, resta poco tempo, qualche ora: la possibilità di un deal c’è ma il cammino è molto stretto, quindi dobbiamo prendere decisioni e ognuno deve assumersi le sue responsabilità”, ha tagliato corto Barnier aggiornando gli eurodeputati sullo sprint finale. ”

Vogliamo un accordo  ma non sarà un accordo a tutti i costi”, ha poi ripetuto per l’ennesima volta, riconoscendo come resti sostanzialmente da risolvere soltanto il contenzioso sulla pesca, ma non senza osservare che potrebbe bastare a far saltare tutto se “nessuno farà un passo avanti”. Né  dimenticare d’insistere sulla necessità di essere “pronti a ogni scenario”: con tanto di “piani di emergenza” operativi in caso di no deal.

Di no deal, fosse solo per esorcizzarlo, continua d’altronde a parlare pure Boris Johnson, che giura e spergiura di non temerlo, in barba ai costi che – in aggiunta ai contraccolpi comunque inevitabili del primo periodo di Brexit e a quelli dello tsunami Covid – tutte le stime prevedono: pesanti per molti Paesi del Vecchio Continente, ma devastanti sulla carta per il Regno di Elisabetta.

Il suo refrain – secondo cui l’isola saprà “prosperare potentemente” alla fine anche nell’eventualità di un taglio netto nel 2021 – è del resto stemperato dall’ammissione che uno scenario del genere “all’inizio sarebbe difficile” Di qui la precisazione di voler mantenere “la porta aperta” e negoziare finché possibile su “un trattato di libero scambio”.

Un traguardo verso il quale non nega di aver di fatto ceduto in parte sull’altro tema più divisivo in modo da “assecondare le richieste ragionevoli” di Bruxelles “sul level playing field”, l’allineamento normativo su aiuti di Stato, diritti dei lavoratori, tutele ambientali e  altro che dovrebbe garantire una concorrenza leale futura; ma insiste di non poter cedere sul principio vitale per la Brexit di un recupero del “controllo delle leggi e delle acque” nazionali da Stato sovrano.

Un modo come un altro per invocare che sia l’Ue, adesso, a fare il passo che manca “per colmare il divario”  sulla pesca: questione strategica o contentino che sia.

(di Alessandro Logroscino/ANSA)

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