Zingaretti e Di Maio frenano sulla crisi, rebus rimpasto

(S-D) Il segretario del Pd Nicola Zingaretti, il premier Gouseppe Conte e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio in occasione della chiusura della campagna elettorale delle elezioni regionali, Narni
(S-D) Il segretario del Pd Nicola Zingaretti, l'ex-premier Giuseppe Conte e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio in occasione della chiusura della campagna elettorale delle elezioni regionali, Narni, 25 ottobre 2019. ANSA/MATTEO CROCCHIONI

ROMA. – Nella domenica in cui Matteo Renzi sceglie il silenzio dopo giorni di attacchi mediatici, sono i due principali alleati del premier Giuseppe Conte, Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio, a frenare sulla crisi di governo. Una crisi “al buio” che, è il ragionamento che unisce il segretario del Pd e il ministro M5S, non converrebbe né ai Dem né al M5S.

E il rischio di andare alle urne, con il centrodestra comunque favorito secondo i sondaggi, farebbe perdere al centrosinistra e al Movimento un’occasione unica: la gestione dei Recovery Fund. Certo, i rapporti nella maggioranza sono logorati. Una verifica è reputata necessaria praticamente da tutti gli alleati. L’opportunità di rilanciare, da qui a due anni, un governo chiamato a dure prove, non è più dilazionabile.

La verifica si comincerà a materializzare già in questa settimana. Conte vedrà singolarmente i partiti, poi convocherà un vertice con tutti, plausibilmente con la partecipazione dei 4 leader di Pd e M5S, Iv e Leu. Il Recovery Plan è destinato a cambiare, nei contenuti e nelle forme di gestione.

I 9 miliardi sulla sanità, ad esempio, potrebbero aumentare sensibilmente anche perché solo così il premier potrebbe evitare la spada di Damocle del Mes sanitario, che i renziani (e parte del Pd) sono pronti a mettere sul tavolo da un momento all’altro.

La cabina di regia resterà come concetto ma sarà profondamente emendata, forse già nel triumvirato Palazzo Chigi-Mef-Mise che Conte aveva pensato in cima alla piramide della gestione dei fondi. E poi c’è il rimpasto. Nessuno ancora, ne parla come un obiettivo a microfoni aperti ma la modifica della squadra di governo è una delle poche exit strategy che Conte può usare per uscire dal cul de sac.

“Non capisco queste resistenze. Né il Pd né il M5S vogliono farlo saltare ma deve essere lui a gestire un eventuale rimpasto”, spiega una fonte di maggioranza di primo piano. Il nodo è capire quanti e quali ministri cambiare. Di certo, i ministeri-chiave resteranno fuori dal rimpasto, con l’unico dubbio del Viminale, dove la tecnica Luciana Lamorgese occupa un incarico che potrebbe essere utilizzato per aumentare, ad esempio, la squadra di Iv senza toccare quelle del M5S o del Pd. Più probabile che Conte avalli dei turnover interni a partiti aprendo a modifiche più consistenti nel “sottogoverno”.

Ma è una partita da fare sui carboni ardenti, e sotto l’attentissima vigilanza del Quirinale, che Conte nelle ore scorse ha informato sulla sua volontà di fare una verifica. Al premier arriva la sponda del presidente del Parlamento Ue David Sassoli, che difende l’idea di una cabina di regia (“è indispensabile, ce l’avranno tutti”) e avverte: “La parola crisi mette paura in Europa, bisognerebbe accostarcisi con un po’ di pudore e prudenza”.

Poco dopo è Maria Elena Boschi a smussare la battaglia di Iv. “Non vogliamo nessuna crisi ma non siamo yesman”, frena la capogruppo renziana che, tuttavia, ribadisce un concetto caro a Iv: “se ci sarà la crisi non ci sarà un voto perché c’è da eleggere un presidente della Repubblica europeista e perché il M5S ha due problemi: il secondo mandato e il fatto che tanti non tornerebbero” in Parlamento.

Ma nel Movimento – anche nei suoi vertici – non c’è alcuna voglia di governo tecnico. E, non a caso, lo staff di Di Maio smentisce con decisione l’idea di una sponda del ministro degli Esteri ai venti di crisi, magari con l’obiettivo del premierato. Un obiettivo che, spiega chi ha dimestichezza con Di Maio, lo stesso ministro reputa ormai archiviato.

“Ci sono cose che non vanno bene ma non vogliamo sfasciare tutto”, sottolinea l’ex capo politico viaggiando sullo stesso binario del Pd, piuttosto che su quello di Iv. “Siamo contrari all’immobilismo, alla chiusura in se stessi, ad ogni forma di auto celebrazione e nello stesso tempo consideriamo la conclusione dell’attuale esperienza di governo come un’avventura pericolosa”, spiega Zingaretti in un’intervista al Corsera. Incassando, immediatamente, il pieno accordo del capo politico M5S Vito Crimi.

(di Michele Esposito/ANSA)

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