Coronavirus in Italia: numeri ancora alti, meno ricoveri in terapia intensiva

Personale sanitario nel Pronto soccorso Covid dell'Ospedale Sant'Anna a Como.
Personale sanitario nel Pronto soccorso Covid dell'Ospedale Sant'Anna a Como. ANSA / MATTEO BAZZI

ROMA. – Sono ancora decisamente alti i numeri dell’epidemia di Covid-19 in Italia e la situazione è complessa, molto più che durante la prima ondata. La buona notizia riguarda le strutture di terapia intensiva, dove si registra un lieve calo dei ricoveri.

I dati del ministero della Salute indicano che i nuovi casi positivi rilevati in 24 ore sono 21.052 e che sono stati fatti 194.984 tamponi. In leggero calo rispetto ai giorni scorsi il numero dei decessi, con 662. Fra le regioni, a registrare il maggiore incremento dei casi in 24 ore è ancora la Lombardia, con 3.148, seguita da Veneto (3.607), Emilia Romagna (1.964) e Puglia (1.884). Resta elevato anche il rapporto fra casi positivi e tamponi, ancora attestati su valori superiori al 10% (10.7%).

Che i numeri del tracciamento mostrino ancora delle difficoltà lo ha detto anche il ministro della Salute, Roberto Speranza, in un’intervista a SkyTg24, anche se cominciano a intravedersi segnali positivi grazie alle misure di contenimento adottate.

“Quando si supera un determinato indice di incidenza – ha detto il ministro – fare il tracciamento diventa molto difficile: questo indice, secondo le valutazioni dei nostri tecnici, è di 50 casi ogni 100.000 abitanti. Quando si supera questo limite un tracciamento meticoloso e puntuale diventa molto più complicato. Per questo – ha rilevato – oggi dobbiamo necessariamente tenere in vigore misure che ci consentano di abbassare questa pressione”.

Speranza ha detto poi che “questa settimana siamo passati da 320 a 245 persone ogni 100.000: siamo ancora molto lontani dall’obiettivo di 50, ma la direzione di marcia è quella giusta”. Nel frattempo “dobbiamo insistere con le misure, l’attenzione e le regole fondamentali, come indossare le mascherine, rispettare il distanziamento, lavarsi le mani ed evitare assembramenti in tutti i modi”.

Per il presidente del Consiglio Superiore di Sanità, Franco Locatelli, “i numeri indicano un miglioramento e si sta alleviando la pressione sulle strutture ospedaliere, intese come occupazione dei posti letto nelle terapie intensive piuttosto che i posti in area medica.

Questo però – ha detto a SkyTg24 – evidentemente deve servire come messaggio motivazionale per dare l’indicazione di continuare in questa linea di rigore e le prossime settimane saranno assolutamente cruciali per evitare poi di ritrovarci, dopo le festività natalizie, in una situazione critica”.

I dati sulle terapie intensive sono incoraggianti anche per il fisico Enzo Marinari, dell’Università Sapienza di Roma: “vedere che i ricoveri diminuiscono è buona notizia relativa alla sostenibilità degli ospedali”.

Per il resto, i numeri danno il quadro di una situazione complessa, “delicata e suscettibile di cambiamento, nella quale – secondo l’esperto – un piccolo disturbo può cambiare molto le cose”. Innanzitutto “il numero dei casi positivi è ancora molto alto. La riduzione verrà, ma una diminuzione netta ancora non si vede”.

L’altra grande questione aperta è quella dei decessi: “ci aspettiamo che prima o poi avvenga una decrescita. Mentre per quanto riguarda le terapie intensive la decrescita è chiara, sui decessi siamo in un plateau”. L’aumento dei numeri osservato nei giorni scorsi dipende dalla situazione di almeno 10 o 15 giorni fa, ma non è semplice da afferrare perché, ha detto Marinari, “se nella prima ondata il numero dei decessi era una fotografia della situazione di 10 giorni prima, ora ci troviamo di fronte a un film che risale a un periodo compreso fra 10 e venti giorni prima”.

Il perché è da ricercare probabilmente nella diversa condizione degli anziani: se nella prima ondata erano più esposti al contagio adesso, secondo l’esperto, sono consapevoli delle misure da adottare e si proteggono, ma sono più esposti all’interno dell’ambito familiare.

Per l’infettivologo Andrea Crisanti, dell’Università di Padova, non va dimenticato che “il numero dei morti è una funzione del numero delle persone infette. Io penso – ha detto a Sky Tg24 – che quando eravamo a 4.000 o 5.000 casi al giorno, forse dovevamo fare qualcosa prima e qualcosa di più. Adesso di fatto stiamo scontando il fatto che siamo arrivati a giorni in cui c’erano 40 mila casi al giorno e il numero dei morti continuerà ad essere alto perlomeno per qualche settimana ancora, ci vorranno almeno tre settimane per vedere un calo”.

(di Enrica Battifoglia/ANSA)

Lascia un commento