Coronavirus in Italia: record di 580 decessi, ma la curva rallenta

Dottore si prepara a ricevere sull'ambulanza un malato sospetto Covid al Policlinico San Martino di Genova
A health worker wearing a safety device at work in front of the respiratory triage prepared for suspected Covid-19 patients mounted in front of the emergency room of the San Martino polyclinic. Genoa, November 9, 2020. ANSA/LUCA ZENNARO

ROMA. – L’indice di trasmissibilità Rt pare andare verso una certa stabilizzazione, crescendo ma più lentamente, e la curva epidemica accenna ad una flessione ma, se da un lato questi sono indubbiamente primi segnali positivi, dall’altro l’impatto della pandemia sui servizi sanitari – in termini di nuovi ricoveri e occupazione delle terapie intensive – aumenta in tutte le Regioni, con livelli che si avvicinano alle soglie definite critiche per la tenuta del sistema.

I segnali positivi non possono dunque assolutamente essere interpretati come un ‘libera tutti’ e l’allerta resta massima. E’ questo il quadro tracciato dai presidenti dell’Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro, e del Consiglio superiore di sanità, Franco Locatelli, nella conferenza stampa di analisi epidemiologica organizzata al ministero della Salute, in una giornata in cui i nuovi casi si sono stabilizzati a 35.098 in calo, a fronte di 217.758 tamponi effettuati e con un rapporto positivi/tamponi al 16,1% (un punto percentuale meno di ieri).

E’ però record di vittime: 580 contro le 356 del giorno precedente. Non si registrava un dato così alto di vittime giornaliere dal 14 aprile, quando furono 602. Continuano a riempirsi anche le terapie intensive, con 122 pazienti in più per Covid, per un totale pari a 2.971.

A livello regionale è ancora una volta la Lombardia a registrare più casi, 10.955 in 24 ore, seguita da Piemonte (+3.659), Veneto (+2.763) e Campania (+2.716). Una situazione che dunque non può essere presa “sotto gamba”, ammonisce Brusaferro, che spiega: “l’incidenza è alta, 524 casi per 100mila abitanti, e la curva per la resilienza, cioè l’impatto sui servizi sanitari, sta crescendo. In alcune regioni si è superata la soglia critica per l’occupazione degli ospedali e c’è probabilità alta in tutta Italia di saturazione entro un mese per le terapie intensive”.

Oggi, chiarisce, “ci troviamo pertanto in una situazione di rischio alto con necessità di misure di mitigazione, cioè misure sociali per rallentare il virus, e fondamentali sono i comportamenti individuali”. Il Paese è allo scenario 3, con un Rt a 1,7 che “ha mostrato un rallentamento nella sua crescita, ma per ridurre i casi dobbiamo portare l’Rt sotto 1 mentre tutte le regioni sono sopra 1, in alcuni casi a 2. Ecco perché – avverte – non possiamo permetterci distrazioni. La strada è giusta ma non è un ‘liberi tutti'”.

Che l’indice Rt appaia stabile e che ci sia una decelerazione, “frutto delle misure poste in essere”, lo conferma anche Locatelli che, pur invitando alla prudenza, rileva come ci si attenda “con il trascorrere dei giorni che i dati possano ulteriormente migliorare”.

Infatti, “la curva sta deflettendo perché sta aumentando meno delle scorse settimane, ma ci vuole cautela – ha aggiunto il direttore del dipartimento Prevenzione del ministero della Salute Gianni Rezza -. In due regioni le terapie intensive sono già sovraccariche e l”epidemia è generalizzata, quindi anche spostare i malati tra le regioni ora è più difficile”.

Insomma, commenta all’ANSA Massimo Andreoni, professore di Malattie infettive all’Università di Roma Tor Vergata, “è vero che la curva accenna a deflettersi, ma è una frenata su una valanga. Le misure messe in atto si stanno cioè dimostrando efficaci nell’iniziare a frenare l’epidemia, ma la sensazione è che siano arrivate in ritardo, perché non si dimostrano in grado di ridurre significativamente né i nuovi malati né i morti e questo è preoccupante, perché gli ospedali non stanno reggendo a numeri così alti”.

Inoltre, “resta alta la percentuale dei tamponi positivi sui test eseguiti, ad indicare che il virus continua a circolare in modo non controllato, ma i dati più preoccupanti in assoluto sono quelli del continuo aumento dei pazienti in terapia intensiva e, soprattutto, il numero elevatissimo di morti, che testimonia in modo inequivocabile che la malattia si sta presentando con la stessa gravità della prima ondata e che i pazienti che si ricoverano in ospedale sono nella stragrande maggioranza dei casi gravi e con patologia avanzata”.

(di Manuela Correra/ANSA)

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