Umbria zona arancione, i piccoli negozi di Norcia: “Così è meglio chiudere”

Norcia, i negozi terremotati del centro storico dopo il terremoto fuori le mura.
Norcia, i negozi terremotati del centro storico adesso fuori le mura. (ANSA)

NORCIA (PERUGIA),. – Da domani l’Umbria sarà zona ‘arancione’ per il rischio Covid. Con, tra l’altro, ristoranti e bar chiusi tutta la giornata. Un provvedimento che sarà ancora più pesante nelle aree colpite dal terremoto del 2016. In particolare a Norcia dove, pur se non lo prevede il Dpcm, abbasseranno le saracinesche anche molte norcinerie.

E il sentimento che prevale tra i commercianti è quello dell’abbandono. “Non ha senso restare aperti in queste condizioni”, dice all’ANSA Moreno Filippi, ristoratore e titolare di alcune norcinerie dentro il centro storico. “Questi negozi – aggiunge – vivono di turismo, così non resta che chiudere e dallo Stato attendiamo aiuti anche per queste attività”.

Claudio Funari ha la sua norcineria tra i negozi delocalizzati nel post sisma, appena fuori le mura. “Ieri – racconta – il primo scontrino l’ho battuto alle 18,30, quando ho venduto un chilo di salsicce fresche, poi ho battuto altri quattro che sono ancora nei pacchi che devo spedire”.

Le vendite on line potrebbero essere l’ultimo baluardo cui aggrapparsi per tentare di limitare i danni. “Ma – sottolineano diversi commercianti – quest’anno ci sono meno soldi e c’è un’Italia intera a soffrire, non avremo quindi la solidarietà del passato”.

I bar intanto servono le ultime colazioni prima di chiudere di nuovo, una delle ragazze che sta dietro il bancone del locale di Porta Ascolana, pensando al nuovo lockdown, spiega quanto “sia brutto tutto questo, così non si vede un futuro e se questa situazione si vive in una zona terremotata tutto si complica”.

La disperazione dei ristoratori è totale. “Abbiamo dato fondo a tutte le nostre risorse in questi 4 anni post terremoto e dopo esserci adeguati alla prima ondata della pandemia, adesso siamo costretti a una nuova chiusura, così siamo destinati a morire”, dice Alberto Allegrini, che è anche il presidente della Confcommercio in Valnerina.

“Non abbiamo bisogno di quattro spicci dal governo – aggiunge -, noi vogliamo lavorare e lo vogliamo fare in sicurezza come è stato fino ad ora. Se invece si deve chiudere allora chiudiamo tutto, ma a patto che lo Stato ci permetta di sopravvivere e non si presenti con 600 euro che non ci pago nemmeno la connessione internet”.

“Prima come terremotato e ora nell’emergenza Covid, mi sento abbandonato”, sentenzia Allegrini. Quasi non trova le parole per descrivere il suo stato d’animo, Stefania Borrini, pure lei ristoratrice: “Non sappiamo più cosa fare. L’asporto? E per chi? No, meglio chiudere”.

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