La Birmania continua a credere in Aung San Suu Kyi

Sostenitori della National League for Democracy (NLD) partito guidato da Aung San Suu Kyi, festeggiano la vittoria delle elezioni a Yangon.
Sostenitori della National League for Democracy (NLD) partito guidato da Aung San Suu Kyi, festeggiano la vittoria delle elezioni a Yangon. Immagine d'archivio. EPA/LYNN BO BO

BANGKOK.  – Il vincitore annunciato si è già auto-proclamato: la “Lega nazionale per la democrazia’”(Nld) di Aung San Suu Kyi. Resta solo da vedere quale sarà l’entità del trionfo, che il partito della “Signora” si aspetta sia ancora più convincente di quello di cinque anni fa.

Il verdetto delle urne, in attesa dei risultati ufficiali, è chiaro: la stella di Suu Kyi, ormai oscurata all’estero per come ha gestito la questione della minoranza musulmana Rohingya, continua a brillare in Birmania.

Il portavoce del Nld ha dichiarato che il partito si aspetta di oltrepassare la quota di 390 seggi conquistati nel 2015, una cifra ben al di sopra dei 322 necessari per assicurarsi la maggioranza assoluta in un Parlamento bicamerale dove all’esercito è assegnato di diritto il 25 per cento dei seggi. Suu Kyi (75 anni), a cui la Costituzione proibisce di diventare presidente, potrà continuare a guidare di fatto il governo.

Sostenitori del Nld si sono già riversati nelle strade a Yangon, sbandierando la bandiera del partito. L’unico vero rivale era l’Usdp, il movimento allineato coi militari; il resto era una galassia di partitini, alcuni fondati da delusi del Nld, ma senza speranze di scalfire il massiccio consenso di cui Suu Kyi gode tra la maggioranza di etnia Bamar.

Il sistema elettorale maggioritario secco favorisce nettamente l’Nld, a esclusione dei territori abitati dalle minoranze etniche, che sommate tra loro rappresentano un terzo della popolazione.

Le elezioni si sono svolte in un clima meno trepidante del 2015. Quello era il culmine della favola della “Signora” tenuta prigioniera in casa per 15 anni da una giunta militare che temeva la sua popolarità; oggi l’entusiasmo è minore, in parte per l’inevitabilità della conferma al potere, ma anche per la disillusione causata da un’economia che cresce meno del previsto e da limitazioni alla libertà di espressione che si credeva fossero impensabili in una Birmania governata da un premio Nobel per la Pace. Per non parlare delle minoranze etniche, che non credono più all’impegno di Suu Kyi per i vari processi di pace ormai arenati.

Uno dei motivi per cui i birmani credono ancora in una Suu Kyi abbandonata dai suoi sostenitori stranieri, paradossalmente, è proprio la posizione allineata ai militari – che lei ha più volte difeso – assunta dalla “Signora” sulla questione della pulizia etnica contro i Rohingya, che i birmani vedono come una minaccia all’identità buddista del Paese.

I prossimi cinque anni di governo diranno se Suu Kyi intenderà finalmente utilizzare il suo capitale politico per smarcarsi dalle posizioni dei militari. Lei ha sempre fatto capire che la partita della democrazia birmana si gioca sul lungo termine.

La contraddizione, però, è che nel frattempo lei non ha coltivato nessun successore, in un partito dove comanda incontrastata. Giunta alla sua età, e con un passato di salute fragile, è una questione che avrà sempre meno tempo di rinviare.

(di Alessandro Ursic/ANSA)

Lascia un commento