Covid: reparti riconvertiti. A rischio altre patologie

Medici ed infermieri nel reparto di terapia intensiva dell'ospedale Policlinico Tor Vergata, in una immagine dell'11 aprile 2020
Medici ed infermieri nel reparto di terapia intensiva dell'ospedale Policlinico Tor Vergata, in una immagine dell'11 aprile 2020. ANSA/ANGELO CARCONI

ROMA. – Cresce la pressione sugli ospedali italiani per l’aumento esponenziale dei pazienti con Covid-19: se da un lato aumentano i malati in terapia intensiva, dall’altro anche i reparti Covid ordinari sono ormai quasi saturi, con i ricoverati che hanno toccato oggi quasi quota 16mila.

La conseguenza è che si cominciano a chiudere e ‘riconvertire’ in reparti Covid anche reparti di altre specialità, come le Cardiologie, con conseguenze serie che ricadono dunque sui pazienti con altre patologie. “Abbiamo un grave problema di affollamento degli ospedali”, ha infatti detto oggi il Commissario Arcuri.

La situazione sta diventando particolarmente allarmante proprio nei reparti di cardiologia. E la Società italiana di cardiologia (Sic) lancia l’allarme: “La sospensione degli ambulatori cardiologici, dei reparti e delle unità di terapia intensiva coronarica (Utic) dovuta al Covid rischia di avere conseguenze catastrofiche, con un aumento della mortalità dei pazienti cardiologici già dal prossimo mese”.

“In alcune regioni, soprattutto al Sud, gli ambulatori cardiologici sono stati chiusi e i reparti di cardiologia svuotati perché è in aumento il numero del personale sanitario contagiato o perchè molti reparti cardiologici sono stati convertiti in reparti Covid-19”, afferma il presidente Sic Ciro Indolfi.

Durante la prima ondata, la pandemia aveva provocato la riduzione di oltre il 50% dei ricoveri cardiologici – secondo i dati della Sic – accompagnata da un aumento di tre volte della mortalità ospedaliera.

“In questo scenario – spiega Indolfi – se i numeri dei contagiati aumenteranno ulteriormente, è prevedibile un impatto della pandemia sulle malattie cardiovascolari ancora maggiore rispetto allo scorso marzo. Infatti, il rinvio di visite, controlli e ricoveri per interventi di angioplastica coronarica e di altre procedure elettive, sommandosi ad arretrati difficili da smaltire, rischia già dal prossimo mese di portare ad un aumento della mortalità e della disabilità superiore a quello della prima ondata, a cui si aggiunge un rischio due volte maggiore di non sopravvivere al virus per chi soffre di malattie cardiovascolari”.

Forte preoccupazione arriva anche dagli oncologi che evidenziano un’altra forte criticità, ovvero l’integrazione con la medicina del territorio. Questo punto, rileva il presidente dell’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) Giordano Beretta, “è quello risultato più deficitario durante la prima ondata della pandemia, perché troppi pazienti non sono più andati in ospedale per paura del contagio. Al tempo stesso, però non sono stati assistiti adeguatamente a livello territoriale. In questi mesi, è stato perso tempo prezioso e non vi sono stati significativi passi in avanti per migliorare l’integrazione fra ospedale e territorio”.

Da qui la necessità di attuare le Reti oncologiche sul territorio e di far ripartire gli screening per la prevenzione: “In alcune Regioni sono ancora bloccati perché il personale che dovrebbe far partire gli inviti è impegnato nell’emergenza Covid”. Anche per l’oncologia, conclude Beretta, “siamo di fronte a ritardi preoccupanti, che possono determinare diagnosi in fase più avanzata nei prossimi mesi”.

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