Pelé compie 80 anni: “La mia vita da O Rei”

Pelé con la Coppa del Mondo "Jules Rimet" vinta nel 1970 nella finale contro l'Italia 4-1 in Messico, dove segnó la prima rete .
Pelé con la Coppa del Mondo "Jules Rimet" vinta nel 1970 nella finale contro l'Italia 4-1 in Messico.

ROMA. –     Se il calcio non si fosse chiamato cosi’, avrebbe dovuto essere denominato Pelè. Il pensiero di Jorge Amado é anche quello di 200 milioni di brasiliani. Che, coerentemente, da giorni celebrano l’ottantesimo compleanno del simbolo del futebol, anagraficamente in arrivo venerdì.

Edson Arantes Do Nascimiento (come si chiamava prima di diventare il bisillabo piú famoso dello sport) é nato infatti a Tres Coracoes il 23 ottobre 1940: in una vita da copertina ha regalato record (basti questo: único calciatore a vincere tre mondiali, 1279 reti segnate in carriera) e soprattutto sogni.

Generazioni di bambini hanno provato il colpo da fuoriclasse ispirandosi a Pelé su un prato di periferia, un cortile, un campetto. Per lui si sono sprecate le iperboli. Atleta del secolo (assegnato dal Cio nel 1999), calciatore del secolo (ex aequo con Maradona, che gli anni, 60, li compie il 30 di questo mese). O Rei é stato, ed è tuttora con Muhammad Alí, l’atleta più celebre della storia, famoso nei punti piu’ remoti dell’Asia Minore come nel cuore dell’ Africa, nei deserti australiani come nelle grandi capitali.

Nessun altro sportivo ha avuto piú spettatori di lui, e la sua faccia é tuttora, molti anni dopo il suo ritiro, tra le piú popolari  del pianeta. ”Sono conosciuto piú di Gesú Cristo”, disse anni fa in un’intervista all’ANSA. Una frase che gli attirò critiche: ma a pensarci bene non aveva torto perché “anche se è una cosa blasfema – spiegò – c’è una logica. Io sono cattolico, e so cosa significhi Gesù con i suoi valori. Ma nel mondo è pieno di gente che crede in altro: in Asia , ad esempio, ci sono centinaia di milioni di buddisti. Magari non sanno chi è Cristo, ma di Pelé hanno sentito parlare…”.

Nel mondo, più prosaicamente, c’è anche gente che crede che Maradona gli sia stato superiore. “Falso – rispose in quell’intervista -, basta guardare i fatti. Sapete quanti gol di testa ha segnato Diego? Ve lo dico io, nessuno: Pelé cento. E di destro?….in tutto io ho segnato 1.281 reti, vi dice niente questo dato? Il problema è che gli argentini non si rassegnano, mi hanno contrapposto prima Di Stefano, quindi Sivori, poi Maradona. Prendano atto del fatto che comunque io valgo più di tutti e tre”.

É stato intervistato e fotografato piú di qualsiasi altra persona: statisti, divi del cinema e tycoon vari. É stato accolto  da  “Rei” in 88 nazioni, e ricevuto da 70 premier, 40 capi di Stato e tre Papi. In Nigeria venne dichiarata una tregua di 48 ore ai tempi della guerra con il Biafra perché tutti, da entrambi gli schieramenti, potessero vederlo giocare. Lo Sciá di Persia lo aspettó tre ore in un aeroporto solo per potersi fare una foto con lui, le guardie alle frontiera ciñese abbandonarono i loro posti e si spostarono a Hong Kong, attirandosi le ire del regime, solo perché avevano saputo che la Perla Nera si trovava quel giorno nella cittá-colonia.

In Colombia Pelé fu espulso durante una partita, e la folla invase il campo costringendo l’arbitro alla fuga. Il match riprese solo con il ritorno in campo del grande brasiliano, a quel punto la folla tornó disciplinatamente sugli spalti. Quando aveva 20 anni in Brasile venne dichiarato ”tesoro nazionale”, e fu quindi proibita la sua cessione all’estero: ci rimase male il presidente dell’Inter Angelo Moratti che sognava di portarlo in nerazzurro e gli aveva fatto offerte molto serie.

L’Italia fu anche il primo paese straniero visitato da Pelé, nel 1958 quando il Brasile si fermó per due amichevoli sulla strada verso i Mondiali di Svezia, ma il timidissimo ragazzino 17enne giá stella del Santos (cittá del litorale paulista che lui rese famosa ovunque) non poté giocare contro Inter e Fiorentina in quanto infortunato.

Pelé  é stato immortalato da Andy Warhol nella galleria dei suoi ritratti. Baurú, la cittá brasiliana dove cominció a giocare,  gli ha dedicato una statua che produrrebbe miracoli (c’e’ chi sostiene di essere guarito toccandola): cento canzoni (due le incise lui stesso, nel 1969, assieme alla grande Elis Regina)  narrano la sua leggenda. Iperboli su perboli, numerose quanto i suoi gol. Ma a ben pensarci tutte insieme non lo raccontano come fa il gesto plastico della rovesciata nel film Fuga per la vittoria.

Figlio d’arte di un calciatore che ebbe poca fortuna, Dondinho, a 80 anni non sa spiegare l’origine del suo soprannome, e in privato, lui che é cosí popolare e pubblico regala persino momenti di grande pudore.

Nell’intervista con l’ANSA, prese la cornetta del telefono e disse semplicemente ”Sono Edson, come va?”. Certo poi offre anche qualche legittima pacchianata: l’impianto che gli hanno intitolato in patria a Maceió si chiama stadio ”O Rei Pele”’  e lui quando va in tribuna in quell’impianto gongola.

Ideale uomo propaganda, non ha mai fatto spot per sigarette e alcolici, e guadagna tanto anche dopo aver smesso di giocare. Anche adesso che è ridotto in sedia a rotelle e ha perso tanti dei quei sorrisi che avevano fatto innamorare il mondo di pari passo con i suoi gol. Nonostante le stampelle gli abbiano impedito di essere l’ultimo tedoforo all’Olimpiade di Rio 2016, in Brasile rimane il Mito, quello per cui scrivono ancora sui muri “Grazie di essere nato”.

Il calciatore di cui, garantiscono con un’ unanimità altrimenti impensabile dalle spiagge di Copacabana ai palazzetti coloniali di Salvador de Bahia, si parlerà anche nei secoli a venire come del “Rei” del calcio: gli argentini se ne facciano una ragione.

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