Salta la tregua con Conte, il Pd lo sfida sul Mes

Giuseppe Conte, Presidente del Consiglio, Luigi Di Maio, Ministro degli Esteri e Dario Franceschini, Ministro della Cultura durante la discussione sulla fiducia al nuovo governo nell'aula del Senato.
Giuseppe Conte, Presidente del Consiglio, Luigi Di Maio, Ministro degli Esteri e Dario Franceschini, Ministro della Cultura durante la discussione sulla fiducia al nuovo governo nell'aula del Senato, Roma 10 settembre 2019. ANSA/FABIO FRUSTACI

ROMA. – La tregua non regge ventiquattro ore. Giuseppe Conte e il Partito democratico tornano a scontrarsi sul Mes. Ma la tensione si estende ad altri capitoli dell’azione di governo: i Dem attaccano Azzolina sul concorso per la scuola, il M5s chiede spiegazioni su Aspi. Nicola Zingaretti risponde a muso duro a Vincenzo Spadafora, che critica l’azione di Vincenzo De Luca sul fronte Covid.

Un clima tutt’altro che sereno, a far da cornice all’annunciata verifica di governo. E che certo non corrisponde all’atmosfera di collaborazione chiesta anche oggi dal presidente Mattarella. Il tavolo per il patto di legislatura sembra slittare – Covid permettendo – alla seconda metà di novembre, visto il rinvio di una settimana, al 14 novembre, degli Stati generali – in videoconferenza – del Movimento.

Ma nei partiti già tiene banco, sotto la superficie delle smentite ufficiali, la possibilità che a quel tavolo si parta dai temi per arrivare a un rimpasto. Conte si confronta in videoconferenza con Ursula Von Der Leyen sul Recovery fund, l’accordo in salita sulla Brexit, il nuovo patto sui migranti che sembra destinato a slittare di qualche mese, il Summit sulla salute che l’Italia ospiterà.

Poi riceve il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez. Ed è al suo fianco, in una conferenza stampa che conferma la sintonia tra i governi di Roma e Madrid, che coglie l’assist del no di Sanchez al Mes (“Il debito lo sta comprando la Bce e sta aiutando i governo”, dice lo spagnolo) per tornare sul tema. Con parole che fanno trasalire i Dem per la seconda volta in quarantotto ore.

Il presidente del Consiglio infatti non solo dice, come sostiene anche Enrico Letta, che il fondo Salva Stati vada riformato così come il patto di stabilità, ma aggiunge che “prendere o no i prestiti non incide sulla nostra politica sanitaria, che non è legata al Mes perché l’abbiamo già definita nel Dpb e nella manovra”.

Di più: “Il Mes non ha nulla a che vedere con le priorità politiche” da affrontare al tavolo per il patto di legislatura, “ma se qualcuno porrà il tema sul tavolo lo affronteremo”. Plaude, dal M5s, Luigi Di Maio: si dice in sintonia con Conte e con Roberto Gualtieri, che fa da sponda al premier sui dubbi di convenienza del prestito e opportunità di essere i soli a chiederlo. Ma tra i Dem Gualtieri appare isolato.

Una riunione della segreteria conferma che il partito è con Zingaretti nella battaglia per il Mes. Quei fondi “servono alla sanità pubblica e perciò la risposta di Conte non convince”, osserva il vicesegretario Andrea Orlando: “Va valutato senza pregiudizi ideologici se non si ritiene praticabile questa strada. Se se ne preferiscono altre, bisogna dire quali”.

Andrea Marcucci, che al Senato sta pensando di incaricare un consulente di condurre uno studio sulla effettiva convenienza del fondo, è più tranchant: “Conte non divaghi”, afferma. I Dem sono determinati a fare valere nella maggioranza di governo il loro peso nel garantire la stabilità grazie alla vittoria alle ultime regionali. Il Mes è diventato terreno di scontro politico, oltre che – sono convinti i Dem – una necessità per sostenere la sanità.

Lo stesso Orlando aderisce a un intergruppo parlamentare “Mes subito” fondato da Iv con dentro Matteo Renzi, deputati del Misto e di Forza Italia tra cui Renato Brunetta, qualche ex M5s e anche un pentastellato come il deputato Giorgio Trizzino. Un cambio di passo, più in generale, è quello che Zingaretti invocherà al tavolo per il patto di legislatura.

Si farà, ribadisce il premier, dopo gli Stati generali M5s, che Vito Crimi rinvia al 14-15 novembre per poterli tenere on-line. Già una volta la verifica di governo è slittata, a marzo, causa Covid. Questa volta, osserva un dirigente Dem, l’impegno del premier c’è (anche se non è ancora definita la formula, se parteciperanno Zingaretti, Renzi, Speranza e il futuro leader M5s o delegazioni più ampie).

Quando si apre una verifica è difficile, osserva la stessa fonte, dire come si concluderà. Di Maio, in un’intervista ad Huffington post in cui tende un ramoscello ad Alessandro Di Battista, smentisce di voler fare il vicepremier in tandem con Zingaretti, che a sua volta aveva smentito. Ma l’ipotesi dei due vicepremier, ad affiancare Conte, torna a rincorrersi.

In alternativa a un rimpasto “light”, che potrebbe travologere ministri come Lucia Azzolina, Paola De Micheli, Nunzia Catalfo. Su scuola e trasporti continua a registrarsi uno scontro a distanza acceso tra Dem e M5s. Il Pd, con la sua responsabile scuola, aveva chiesto il rinvio del concorso per gli insegnanti, che viene ora chiesto anche dai Cinque stelle lombardi.

“Com’è possibile sguarnire le classi e far viaggiare migliaia di persone da una regione all’altra per un concorso mentre infuria il Covid?”, è il ragionamento. Ora, “dopo il No di Azzolina e Conte”, la richiesta dei Dem è che almeno si dia la possibilità di recuperare il concorso a chi sarà assente perché positivo o in quarantena.

Sul fronte trasporti invece la ministra Pd De Micheli finisce nel mirino dei pentastellati per l’accordo siglato su Aspi: “E’ giunta l’ora che la ministra chiarisca diversi aspetti della trattativa. Intendiamoci subito: per i Benetton non deve esserci nessuna regalia in uscita”, dicono in una nota. E anche in questo caso, sperano di trovare la sponda di Conte.

(di Serenella Mattera/ANSA)

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