Pensioni: si studia Ape social e Quota 41 per fragili

Pensionate siedono in un parco.
Pensionate siedono in un parco. ANSA/LUCA ZENNARO)

ROMA. – In attesa che si esaurisca la sperimentazione di Quota 100 per l’anno prossimo il Governo studia per la  legge di Bilancio 2021 l’introduzione di  interventi previdenziali limitati ma che possano venire incontro alle difficoltà delle fasce più disagiate della popolazione e tra queste ai cosiddetti lavoratori “fragili”.

Tra gli interventi ai quali si sta lavorando, secondo quanto spiegano i sindacati che torneranno a incontrare la ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo, il prossimo 14 ottobre, c’è la proroga dell’Ape sociale e dell’accesso alla pensione con 41 anni di contributi per i lavoratori precoci in condizione di disagio, con la possibile estensione di queste misure a quei lavoratori che saranno riconosciuti in condizione di fragilità, come ad esempio i cardiopatici e i malati oncologici.

La definizione al momento non è chiara e andrà meglio definita anche in relazione allo smart working e alla tempistica per il rientro nella propria sede di lavoro, ma potrebbe essere affiancata alla condizione  sanitaria già prevista per avere l’Ape sociale o l’accesso alla pensione con 41 anni di contributi, dell’invalidità al 74%.

Naturalmente la certificazione di fragilità dovrà affiancare le condizioni minime per l’accesso a questi strumenti come ad esempio nel caso dell’Ape sociale almeno 63 anni di età e 30 anni di contributi nel caso della disoccupazione e dell’invalidità al 74%.

Oltre all’Ape sociale e al pensionamento anticipato per i lavoratori precoci con 41 anni di contributi dovrebbe essere prorogato l’accesso alla pensione con la cosiddetta Opzione donna, ovvero almeno 58 anni di età e 35 di contributi per le lavoratrici dipendenti (oltre a un anno di finestra mobile),  ma con il calcolo della pensione basato interamente sul método contributivo.

Si ragiona poi su un sistema misto per quanto riguarda l’isopensione, ovvero lo scivolo verso la pensione pagato ora interamente dall’azienda fino alla maturazione del diritto del lavoratore. Per questo i sindacati chiedono di prevedere tre anni di Naspi in modo di ridurre il peso per le aziende che al momento l’hanno usato molto poco perché troppo oneroso.

Quanto alla riforma vera e propria, ovvero quella che dovrebbe scattare a partire dal 2022 per alleggerire l’impatto della fine di Quota 100 e il ritorno all’uscita dal lavoro solo con almeno 67 anni di età o 42 e 10 mesi di contributi  (con tre mesi di finestra mobile) al momento il confronto non è davvero iniziato. É probabile che si ragioni più sui tipi di lavoro che su un’uscita anticipata uguale per tutti anche perché  quest’ultima comporterebbe costi maggiori.

Nel frattempo nel 2021 scatta l’adeguamento dei coefficienti di trasformazione del montante contributivo che si riducono tenendo conto dell’aumento dell’età media. In pratica un lavoratore che va in pensione nel 2021 alla stessa età di chi esce nel 2020 e con lo stesso montante di contributi avrà una pensione un pochino più bassa.

Nel 2021 però, poiché non è aumentata l’aspettativa di vita non saranno rivisti al rialzo i requisiti per l’accesso alla pensione che resteranno, per chi non riesce ad accedere a Quota 100, 67 anni di età o 42 anni e 10 mesi di contributi (41 e 10 per le donne).

Oggi la Covip, Commissione di vigilanza sui fondi pensione, ha diffuso i dati relativi all’attivo delle casse privatizzate secondo i quali nel 2019 è salito a 95,983 miliardi di euro (+10,3% sul 2018).  Le cinque casse di dimensioni più grandi raggruppano il 73,8% dell’attivo totale (a Enpam, casa dei medici, fa capo il 26,1% del totale).

Nel 2019 a fronte di 10,7 miliardi  di contributi incassati, sono state erogate prestazioni per 7,4 miliardi. Ma se per i medici il saldo tra contributi e prestazioni è positivo per 995 milioni, per l’Inpgi Ago c’è uno sbilancio negativo di 188 milioni.

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