Covid abbatte i mini-contratti, un milione in meno

Un lavoratore part-time di una catena di fast food.
Un lavoratore part-time di una catena di fast food. (ANSA)

ROMA.  – Gli effetti dell’emergenza Coronavirus si sono abbattuti con violenza sul mercato del lavoro e la prima vittima sono stati i contratti più deboli, quelli di breve o brevissima durata, che nel pre-pandemia avevano conosciuto un’accelerazione sotto l’etichetta della “gig economy”.

A dare le cifre della contrazione subita nel trimestre “nero”, il secondo del 2020, è la nota congiunta prodotta da Istat, ministero del Lavoro, Inps, Inail e Anpal. I numeri che si registrano nel privato parlano chiaro: tra aprile e giugno si contano oltre un milione di rapporti di lavoro a termine in meno rispetto all’anno prima.

Contemplando tutto l’universo delle forme flessibili, inclusi il lavoro in somministrazione e quello intermittente, i dati che arrivano dal mondo delle imprese evidenziano un buco di precisamente 1 milione e 112 mila. Tante le posizioni lasciate a terra a causa della crisi innescata dal lockdown.

tratta di una perdita più che doppia rispetto ai valori usciti finora, sempre relativi al secondo trimestre ma bilanciati con quanto avvenuto nel settore pubblico, che ovviamente è risultato resiliente rispetto al resto. E poi il conteggio riportato nella nota congiunta ingloba un po’ tutti i tipi di rapporto di lavoro a tempo determinato.

Che a soffrire di più siano stati i cosiddetti “lavoretti” lo conferma anche il monitoraggio sulla durata dei contratti. Se le attivazioni di posizioni a tempo sono calate nei tre mesi primaverili di circa un milione quasi la metà di quest’emorragia si deve ai contratti con scadenza massima a sette giorni. A proposito di flussi, nel complesso i lavori “accessi” si sono ridotti di  1 milione e 567 mila. A fronte di una diminuzione delle cessazioni di 988 mila.

Interruzioni dovute non solo al blocco dei licenziamenti deciso per legge ma anche, viene sottolineato, “ai rapporti di lavoro dipendente di breve durata non attivati in precedenza”. In altre parole, sono venuti a morire meno contratti perché ne sono semplicemente nati meno, specialmente nel format “mini”, con l’anzianità misurata in giorni.

Riassumendo quella registrata nel secondo trimestre di quest’anno è stata “un’eccezionale diminuzione”  dell’input di lavoro. É vero a livello congiunturale (-11,8%)  ed è vero nel confronto con il 2019 (-17,0%).  Cali, questi, stimati come riduzioni di unità di lavoro, un indicatore statistico che ricompatta le posizioni di lavoro con uno standard full time.

Dietro, come evidenzia lo stesso dossier, c’è il crollo delle ore lavorate che ha fatto “seguito delle notevoli perturbazioni indotte dall’emergenza sanitaria”. Voragine che è stata mitigata dalla cassa integrazione ma in linea con un Pil arretrato nello stesso periodo del 12,8%.

(Marianna Berti/ANSA)

Lascia un commento