MILANO. – Il 2020 per le grandi e medie aziende italiane potrebbe rilevarsi meno drammatico del previsto e la caduta del fatturato dei maggiori gruppi fermarsi al 13%, con un andamento migliore per la manifattura che potrebbe contenere la flessione complessiva ad un livello di circa il 9%.
Sono le stime elaborate dell’Area Studi di Mediobanca che, partendo dai dati cumulativi di 2.120 società attive in Italia ed esaminati nel decennio 2010-2019, traccia un quadro non così pesante se confrontato col calo a doppia cifra, ovvero intorno al 20%, delle previsioni diffuse nella fase acuta della pandemia Covid.
Detto questo, c’è da considerare che gli effetti negativi dell’emergenza congiunturale saranno superiori soprattutto per le Pmi rispetto alle maggiori imprese dell’industriali e del terziario finite sotto la lente di Piazzetta Cuccia.
Per queste ultime, oggetto dell’analisi, si configura quindi un 2020 non peggiore del 2009 quando, a seguito degli effetti del fallimento di Lehman Brothers, le maggiori imprese industriali persero il 14,7% del fatturato e quelle manifatturiere il 16,2%.
Se si guarda più avanti, al 2021, confidando che non ci siano peggioramenti del quadro pandemico, si prospetta poi una ripresa del fatturato del comparto manifatturiero del 5,9% e del 7,5% per l’industria. Tornando al 2020 è chiaro che settori diversi si presentano alla sfida di questo annus horribilis per l’intera economía globale in condizioni di partenza differenti.
Riguardo in particolare ai singoli settori merceologici, la flessione di fatturato attesa quest’anno è destinata a produrre conseguenze maggiori sui settori che nel 2019 non erano ancora riusciti a superare le vendite del 2010. E tra questi figurano l’editoria (-33,8%), le tlc (-24,9%), l’impiantistico (-17,9%), gli elettrodomestici (-13,7%), le tv (-12,6%), il petrolio (-9,9%), i prodotti per l’edilizia (-9,5%) e il settore dell’elettronica (-0,6%).
In generale, al di fuori della manifattura, flessioni importanti dovrebbero colpire quest’anno i comparti dell’edilizia (-20% circa), l’immobiliare (-22%), i trasporti (-19%), con una penalizzazione maggiore per quelli di persone rispetto alle merci, il petrolifero (-13%), la fornitura di energia e gas (-12%) anche per il crollo del greggio e tutto il comparto del commercio non food con flessioni comprese tra il 20 ed il 30 per cento. ll commercio alimentare potrebbe chiudere invece su livelli invariati.
All’interno della manifattura invece i pochi segni positivi potrebbero riguardare il farmaceutico (+4%) e l’alimentare (+2%), al cui interno soffrono maggiormente i produttori di beverage legati all’HoReCa (Hotellerie, Restaurant, Cafè) e al turismo, uno dei settori certamente più penalizzati dalla crisi generata dal Coronavirus.
Altri comparti invece sono candidati a flessioni di entità più limitata: è il caso di quello chimico (-7%), di quello cartario (-7%) e di quello legato alla produzione di vetro per uso medico (-5%).
Dall’esame emerge inoltre che il settore pubblico ha visto ristagnare il proprio fatturato dal 2010 e presenta un livello d’indebitamento relativamente più alto (108,5%) rispetto a quello privato (68,7%) che nel decennio ha inoltre messo a segno una crescita importante dei ricavi.
La modesta dinamica delle vendite del comparto pubblico deriva dalla sua forte presenza nel segmento petrolifero e in quello della distribuzione energetica Si tratta di attività fortemente esposte al prezzo del greggio. Tuttavia, il comparto pubblico affronta il 2020 dopo un triennio di investimenti relativamente più intensi (19,7% del fatturato, 12,4% le imprese private).
(di Marcella Merlo/ANSA)