Trump taglia le truppe in Iraq e ora spera nel Nobel

Un convoglio militare delle truppe americane stanziate in Irak.
Un convoglio militare delle truppe americane stanziate in Irak. (Ansalatina)

WASHINGTON.  – “Un’altra promessa mantenuta”, quella di cessare “le guerre senza fine” degli Usa. Donald Trump annuncia la riduzione delle truppe in Iraq e gongola per la candidatura al premio Nobel per la pace dopo aver mediato l’accordo tra Israele ed Emirati Arabi.

Ma un nuovo libro, dopo quello della nipote Mary Trump e dell’ex avvocato personale Michael Cohen, lo mette in forte imbarazzo. Anche perché l’autore è il leggendario reporter del Watergate Bob Woodward, cui aveva concesso per l’occasione 18 ampie interviste tra dicembre e luglio. Il presidente, secondo le anticipazioni di ‘Rage’ (Rabbia) , ha confidato al giornalista che sapeva in anticipo di settimane rispetto al primo decesso Usa per Covid-19 quanto il virus fosse pericoloso, trasmissibile per via aerea, altamente contagioso e “più fatale di una forte influenza”, forse cinque volte di più. E che ha “sempre voluto minimizzarlo per non creare panico”.

Dichiarazioni che contrastano con i frequenti commenti del tycoon. Duro anche il giudizio del famoso immunologo Anthony Fauci, il membro più autorevole della task force della Casa Bianca contro la pandemia: “La durata dell’attenzione di Trump è un numero negativo” e la sua leadership è “senza timone”, “il suo unico scopo è essere rieletto”.

Il libro, che uscirà il 15 settembre, contiene altri giudizi pesanti di ex dirigenti della sicurezza, della difesa e dell’intelligence. L’ex capo del Pentagono James Mattis definisce il tycoon “pericoloso” e “inadatto” come commander in chief. L’ex capo della National Intelligence Dan Coat invece, scrive Woodward, “continua a coltivare la segreta convinzione, cresciuta anziché diminuire, benché non supportata da prove di intelligence, che Putin abbia qualcosa su Trump”.

Il presidente però tira dritto sbandierando la riduzione delle truppe in Iraq da 5.200 a 3.000 entro fine settembre, come annunciato dal generale Frank McKenzie, che guida il comando centrale Usa. Una mossa giustificata anche con la capacità ora delle forze locali di operare in modo indipendente e di impediré il ritorno dell’Isis, ma il parlamento iracheno aveva già votato a favore dell’uscita dei militari Usa dopo l’uccisione del generale iraniano Qasem Soleimani all’aeroporto di Baghdad. La Nato invece continuerà la sua missione, ha assicurato un funzionario dell’Alleanza Atlantica.

Trump comunque vuol mantenere la sua promessa di mettere fine alle “endless wars” e nei prossimi giorni dovrebbe annunciare anche un’ulteriore riduzione delle truppe Usa in Afghanistan da 8.600 a 4.000 uomini.

Intanto si gode la sua nomina al Nobel per la pace formalizzata dal deputato norvegese Christian Tybring-Gjedde e ritwitta i post che ne parlano. É un riconoscimento che sogna da tempo, dopo aver criticato quello assegnato a Barack Obama senza che avesse ancora fatto nulla. Aveva accarezzato l’idea dopo il primo summit con Kim Jong-un per la denuclearizzazione della Corea del Nord, vantando come sponsor il premier giapponese Shinzo Abe e l’endorsement del presidente sudcoreano Moon Jae-in. Ora spera di riceverlo come broker dell’accordo tra Israele ed Emirati, che sarà firmato alla Casa Bianca il 15 settembre.

Frattanto Joe Biden vola in Michigan, uno degli Stati della Rust Belt in bilico, e lancia un piano fiscale per penalizzare le aziende operanti offshore e premiare quelle che investono in America. La proposta prevede una soprattassa del 10% (Offshoring Tax Penalty) per le società che portano all’estero produzioni e servizi rivendendoli poi negli Usa e un credito fiscale del 10% (‘Made in America’ Tax Credit) per quelle che investono nella creazione di occupazione domestica. Una mossa a favore della working class che rievoca l’America first di Trump.

(di Claudio Salvalaggio/ANSA)

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