Lavoro: segnali di ripresa ma persi 500 mila posti

Infografica sul impatto del Covid sul lavoro.
Infografica sul impatto del Covid sul lavoro. (Ansa)

ROMA.  – Per la prima volta dopo quattro mesi, a luglio aumenta il lavoro in Italia. Tutto il peso dell’emergenza Coronavirus resta nei quasi 500 mila occupati persi rispetto a febbraio, prima del lockdown, nei lavoratori autonomi scesi ai minimi da almeno 16 anni en ella disoccupazione giovanile tornata oltre la soglia del 30% dopo più di un anno (al 31,1%). Ma ci sono “segnali positivi” negli ultimi dati Istat, come sottolinea la ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo.

Gli occupati aumentano in un mese di 85 mila unità e sono in crescita soprattutto tra le donne, i lavoratori con più di 35 anni e gli assunti con contratti stabili. Al tempo stesso, diminuiscono gli scoraggiati, e le persone che si rimettono a cercare lavoro, quando non lo trovano, spingono il tasso di disoccupazione complessivo verso l’alto di mezzo punto, fino al 9,7%. Insomma, una volta tanto anche l’aumento di questo termometro delle difficoltà del mondo lavorativo non è un segnale negativo.

Il mercato del lavoro sembra iniziare a rimettersi in moto, con un recupero delle ore lavorate e con i dipendenti stabili – protetti dal blocco dei licenziamenti per il Covid – che salgono anche rispetto a luglio 2019, a differenza di quelli con contratti temporanei (-498 mila) e dei lavoratori indipendenti (-239 mila).

Segnali di un possibile miglioramento dell’economia, dopo il tracollo del Pil del 12,8% nel secondo trimestre, arrivano anche dall’indice Pmi di Ihs Markit. L’indice, che registra la fiducia dei responsabili degli acquisti delle imprese manifatturiere, sale ad agosto da 51,9 punti a 53,1 punti, portando l’Italia al primo posto tra i grandi paesi europei. La Germania è a 52,2 punti, la Spagna a 49,9 e la Francia a 49,8.

Questo risultato è definito “notevole” dal ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, che ritiene “ancora più importante il fatto che l’indice non fosse così alto da 26 mesi, segno che il sistema imprenditoriale italiano è resiliente e che dobbiamo sfruttare il Recovery fund per riforme strutturali che puntino sugli investimenti e non su misure spot”.

Nonostante i dati letti dal governo come incoraggianti, le associazioni di imprenditori continuano a vedere nero. Confesercenti fotografa una delle realtà lavorative: quella dei lavoratori “autonomi” e parla di una  “strage dell’occupazione indipendente, che crolla al livello più basso dall’inizio delle rilevazioni Istat nel 2004”, con un calo di un milione 239 mila autonomi (uno su cinque) negli ultimi anni. L’Italia “non è più il paese delle ditte”, commenta il segretario generale, Mauro Bussoni, denunciando un “ambiente sempre più ostile al fare impresa”.

Anche Confcommercio teme un recupero “difficile”. “Il ritorno ai livelli pre-pandemia appare lento e complicato, come testimoniato dalla riduzione del numero di lavoratori indipendenti, che sottende un fenomeno di chiusura di imprese destinato a proseguire nei prossimi mesi”, osserva l’ufficio studi.

Il timore espresso è che si arrivi “velocemente” a un rialzo dei disoccupati, anche per il ritorno sul mercato di parte degli inattivi e per la fuoriuscita dei dipendenti in esubero dalla cassa integrazione.

Con un linguaggio più crudo, il presidente dell’Unione nazionale consumatori, Massimiliano Dona, vede la minaccia di “una carneficina di lavoratori” quando verrà meno il blocco dei licenziamenti.

Mentre, dal fronte sindacale, la segretaria confederale della Uil Ivana Veronese legge nei dati di luglio “primi segnali incoraggianti di ripresa del mercato del lavoro” da cui partire per mettere in moto, “da subito, ulteriori investimenti in politiche attive e percorsi di formazione, mantenendo sempre il faro acceso sulla salute e sicurezza”.

Lo stesso fa la Cisl che evidenzia come le persone sono tornate a cercare il lavoro e finalmente c’è un dato positivo, anche se parte dalle difficoltà provocate dal lockdown .

(di Chiara Munafò/ANSA)

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