Effetto Covid, turismo: già persi 220 mila posti più l’indotto

Raffaele Rio, presidente dell'istituto Demoskopika
Raffaele Rio, presidente dell'istituto Demoskopika. (ANSA)

ROMA. – Ben 220 mila posti in fumo la cui metà è concentrata nei sistemi turistici del Nord a cui, ovviamente, va aggiunto l’intero indotto. E poi 50 mila imprese che rischiano di chiudere. La crisi nera delle città d’arte trascinate nel baratro dal calo del 70% dei turisti stranieri che sono anche quelli che spendono di più. E l’anno non è ancora concluso…

A fare la fotografia del turismo “sfiancato” dal Covid in un’intervista a 360 gradi con l’ANSA è Raffaele Rio, presidente dell’istituto Demoskopika. “Ben 50mila imprese del comparto turistico – spiega – rischiano il fallimento a causa della perdita di solidità finanziaria con una contrazione del fatturato di almeno 12 miliardi di euro. Una mortalità imprenditoriale che non può non ripercuotersi inevitabilmente sul mercato del lavoro con una perdita diretta di ben 220 mila posti la cui metà è concentrata nei sistemi turistici del Nord a cui, ovviamente, va aggiunto l’intero indotto.

Non va dimenticato, se a qualcuno fosse sfuggito, che nel primo trimestre del 2020, si è registrato il peggiore bilancio della nati-mortalità del sistema turistico degli ultimi 25 anni. E ancora l’anno non è concluso”.

Quanto ai flussi il presidente di Demoskopika dice: “Sinceramente il sold out che alcuni speravano per Ferragosto, eccezion fatta per qualche area storicamente più attrattiva di altre, non l’ho rilevato. Provo a spiegarmi meglio. Lo scorso anno (elaborando i dati di Banca d’Italia) nel solo mese di agosto, sono stati oltre 5 milioni i viaggiatori stranieri che hanno scelto di trascorrere le vacanze in Italia generando oltre 37 milioni di pernottamenti nel sistema alberghiero ed extra-alberghiero del Belpaese con una spesa di circa 4 miliardi di euro.

Quest’anno, noi stimiamo, nello stesso periodo, un calo pari a circa il 70%, con un decremento di 3,6 milioni di turisti stranieri e una contrazione della spesa di quasi 2 miliardi di euro. In questa direzione, comprendo perfettamente la reazione delle associazioni degli operatori turistici”.

Per quanto riguarda la crisi nera delle città d’arte Rio aggiunge: “Resto dell’opinione che gli italiani siano fortemente tradizionalisti nella scelta di consumo turistico. Dai dati rilevati da Demoskopika emerge che, al netto dell’osservanza del distanziamento sociale tanto ricercata dai turisti quanto poco praticata, circa 6 italiani su 10 di chi ha dichiarato di andare in vacanza, hanno scelto località balneari principalmente in Sicilia, Puglia, Calabria, Emilia-Romagna e Sardegna.

A seguire nelle indicazioni dei vacanzieri anche la montagna e le città d’arte. Non vi è dubbio, che, in proporzione le città d’arte hanno subito maggiormente il crollo del settore soprattutto per la rilevante contrazione del turismo internazionale. Alcune nostre elaborazioni stimano in circa 2,7 milioni gli stranieri che hanno rinunciato ad un soggiorno nelle città d’arte del Belpaese tra luglio e agosto”.

Non molte settimane fa, Demoskopika ha rilevato come almeno 8 milioni di italiani hanno rinunciato alla vacanza con la famiglia per l’assenza di disponibilità economiche. “Una difficile condizione – sottolinea Rio – alimentata dalla ripresa del prelievo fiscale richiesto ai contribuenti dai vari livelli istituzionali dello Stato. I soli Comuni, ad esempio, nei mesi di giugno e luglio dell’anno in corso, hanno incrementato gli incassi tributari derivanti principalmente dall’imposta municipale propria (Imu), dalla Tassa sui rifiuti (Tari), dall’addizionale comunale all’Irpef e dalla tassa sui servizi indivisibili (Tasi) di quasi 4 miliardi di euro, con una impennata del 285% rispetto al bimestre marzo/aprile dello stesso anno”.

Infine l’intervento del Governo: è bastato? E’ stato indirizzato nella giusta direzione? “C’è un problema prioritario di governance – dice Rio – da cui consegue anche la misura dell’efficacia dei fondi messi a disposizione per la ripresa del sistema turistico. L’Italia, nella forma e nella sostanza, non ha ancora fatto del turismo un settore strategico per la propria economia.

Anzi, presenta una governance caratterizzata da una rilevante frammentazione delle competenze che genera un coordinamento delle politiche sul turismo assolutamente inadeguato. Non è un caso, ad esempio, che anche l’attuale Piano strategico del turismo italiano sia strutturato più secondo la logica di un “libro dei sogni” che in relazione ad una concreta attuazione di azioni misurabili nel tempo.

E, ancora, dopo anni di discussioni e confronti, non siamo ancora riusciti a calibrare una leadership centrale che riesca a uniformare e orientare le differenti strategie regionali in obiettivi condivisi e, soprattutto comuni. L’idea che la nostra Costituzione abbia reso il turismo una materia di competenza “esclusiva” per le Regioni, viene intesa quale legittimazione di una “giungla normativa e attuativa” della programmazione turistica”.

E così secondo Rio, degli oltre 4 miliardi messi in campo dalle istituzioni ai vari livelli per fronteggiare la crisi economica post Covid-19, tutti ne conosciamo l’entità ma si contano sulle dita di una mano quelli che ne conoscono i possibili impatti reali sul sistema poiché sono frutto, in molti casi, di scelte non concertate, condizionate spesso più da un’euforia interventista del Governo che da una programmazione consapevole.

“Mi sarei aspettato che dagli Stati generali dell’Economia, convocati dal presidente del Consiglio, Conte, – conclude – avesse visto la luce un unico Piano di ripresa del turismo italiano condiviso, in termini di indirizzo politico e di apporto di risorse finanziarie, da parte di tutti i decisori istituzionali ai vari livelli indicante consapevolmente obiettivi, strategie, azioni, risorse finanziarie e indicatori di risultato. Ma chi lo ha visto?”.

(di Cinzia Conti/ANSA)

Lascia un commento