Governo si dimette tra scontri, Libano allo sbando

Proteste a Beirut.
Proteste a Beirut. (Ansa)

ROMA.  –  Il governo libanese di Hasan Diab, sostenuto fortemente dagli Hezbollah filo-iraniani, è crollato sotto i colpi del terremoto sociale scatenatosi dopo le devastanti esplosioni che una settimana fa hanno distrutto il porto di Beirut, danneggiato pesantemente diversi quartieri, facendo più di 200 vittime e circa 7mila feriti.

Dopo una giornata cominciata con le dimissioni a catena di altri ministri del governo, il premier Hassan Diab è apparso in diretta tv dal palazzo governativo del Gran Serraglio per annunciare le dimissioni dell’esecutivo. In cielo sono stati sparati fuochi d’artificio in segno di festa mentre a Tripoli, nel nord del Paese, spari in aria hanno salutato la notizia.

Un discorso breve nel quale non ha risparmiato forti accuse a non meglio precisate parti politiche, corresponsabili, a suo dire, di una “corruzione cronica” e di una “rete della corruttela più grande di quella dello Stato”.

Diab non ha fatto nomi. Ma fino all’ultimo ha provato a presentarsi come colui che ha tentato di salvare il paese: “Io e tutti i ministri abbiamo fatto di tutto per avviare il Libano sulla strada del cambiamento… Non abbiamo mai avuto interessi personali…. Sarebbe stato meglio se di fronte a questa enorme tragedia – ha detto, riferendosi al disastro del 4 agosto – tutti ci avessero dato una mano per aiutare la gente in questa difficile fase”.

Il premier stesso ha evocato la metafora del “terremoto”, che lo ha costretto a “fare un passo indietro, per unirci tutti alla gente”. Un discorso pronunciato mentre la rabbia della gente proseguiva, per  la terza serata consecutiva. nell’area di Piazza dei Martiri e delle vie super-protette del Parlamento.

La polizia in tenuta antisommossa ha sparato gas lacrimogeni e pallottole di gomma disperdendo centinaia di giovani che tentavano di superare le barriere di metallo, erette nei mesi scorsi attorno alle sedi istituzionali.

Il governo Diab – il quarto in quattro anni – è stato sempre sotto assedio, fisico, da una piazza in rivolta dall’ottobre scorso. E questo nel contesto di una crisi socio-economica senza precedenti, aggravata dalla pandemia del Covid, e segnata dal collasso finanziario. Proprio Diab aveva dovuto annunciare, a marzo scorso, il default del sistema libanese.

Stretto tra le pressioni della potente Associazione delle Banche, della Banca Centrale e dei diversi partiti politico-confessionali, Hezbollah inclusi, Diab non ha portato a termine nessuno dei punti promessi nel programma, tanto meno è riuscito ad avviare negoziati seri col Fondo monetario internazionale.

Il paese è ora allo sbando. La piazza è in rivolta. E i morti del 4 agosto sono più di 200 (si parla di 220) anche se alla conta mancano ancora decine di dispersi. É il bilancio più grave degli ultimi 37 anni. Diab doveva ricevere nelle ultime ore il primo rapporto dall’inchiesta governativa. Ma nessun dossier è arrivato sul suo tavolo. La pratica è stata passata all’Alta corte di giustizia.

L’ipotesi delle elezioni anticipate, annunciate nei giorni scorsi dallo stesso Diab, non è stata nemmeno menzionata. E comunque, ricordano analisti, prima di nuove elezioni bisognerebbe cambiare l’attuale legge elettorale, cucita su misura per tenere al potere l’attuale classe politica.

Quello di Diab è ora un governo per sbrigare gli affari correnti. Formalmente ora è il presidente Aoun che dovrà avviare le consultazioni ma su questo la costituzione non impone al capo dello Stato di avere fretta. Il Libano nel recente passato è rimasto mesi senza un governo. Diab si è congedato scandendo tre volte la frase: “Che Iddio protegga il Libano”.

(di Lorenzo Trombetta/ANSA)

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