Folla a preghiera a Santa Sofia, Erdogan legge Corano

il presidente turco Recep Tayyip Erdogan visita Santa Sofia.
il presidente turco Recep Tayyip Erdogan visita Santa Sofia. (EPA/Ufficio Stampa Presidenza Turchia)

ISTANBUL.  –  “In quest’ora sacra, in questo luogo sacro, stiamo assistendo a un momento storico. Oggi finisce l’attesa che ha spezzato il cuore alla nostra nazione”. Dopo 86 anni, Santa Sofia accoglie il primo sermone della solenne preghiera islamica del venerdì.

Due settimane dopo averlo riconvertito da museo in moschea, Recep Tayyip Erdogan si inginocchia solo e in prima fila dentro il monumento simbolo di Istanbul. Il capo coperto dal tradizionale zucchetto dei fedeli musulmani, il presidente turco scandisce i primi versetti del Corano, realizzando il suo “più grande sogno”: riportare il culto di Allah dentro quella che per quasi un millennio è stata la più grande basilica della cristianità, prima di diventare moschea con la presa ottomana di Costantinopoli nel 1453 e museo con un decreto del 1934 di Mustafa Kemal Ataturk, che pensò così di “offrirla all’umanità”.

Un momento di festa per l’islam turco cui fanno da contraltare le campane a “lutto” nelle chiese greco-ortodosse, che denunciano il gesto da “conquistatore”, e Papa Francesco che si è detto “molto addolorato”. Fortemente simbolica è anche la data scelta: il 97/mo anniversario del Trattato di Losanna, all’origine degli attuali confini turchi che Ankara sogna ora di allargare, dalla Siria al Mediterraneo orientale, conteso proprio in questi giorni con Atene per le perforazioni in mare.

Ma è anche lo stesso giorno in cui 21 anni fa Erdogan lasciò la prigione dove era rimasto rinchiuso 4 mesi per aver letto una poesia islamista.

La preghiera si svolge per poche centinaia di persone dentro l’edificio, mentre fuori se ne accalcano tante da dover bloccare gli accessi, dopo una mattinata di pericolosi assembramenti in barba al rischio coronavirus. Avvolti nelle bandiere rosse con la mezzaluna e la stella della Turchia, o sventolando quelle nostalgiche dell’impero ottomano e della Palestina, in 350 mila – stando alle cifre ufficiali – sono accorsi dalle prime ore del mattino nelle cinque aree all’aperto riservate al culto, tre per gli uomini e due per le donne.

Alcuni hanno persino dormito in strada per arrivare prima, viste le rigide misure di sicurezza agli 11 checkpoint e la chiusura al traffico dell’intera zona, sorvegliata da 21 mila agenti e oltre 700 operatori sanitari.

Poco dopo mezzogiorno, dai quattro minareti è risuonato il richiamo alla preghiera di altrettanti muezzin, seguito dal sermone della massima autorità islamica locale, il responsabile della Diyanet Ali Erbas, dedicato a “Santa Sofia simbolo della conquista e strumento del conquistatore”, il sultano Maometto II, e recitato con una scimitarra stretta nella mano sinistra.

Presenti i vertici del governo di Ankara, insieme all’alleato di ferro nazionalista Devlet Bahceli, mentre i capi dell’opposizione hanno boicottato l’evento e il sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, non è stato neppure invitato. Spiccano anche le assenze di leader del mondo musulmano, dopo le esplicite critiche degli altri Paesi custodi dell’ortodossia sunnita, dall’Arabia Saudita all’Egitto, in competizione con Ankara per la supremazia politica e religiosa.

Durissimo è poi lo strappo con l’Occidente cristiano. Da Bruxelles a Washington, le cancellerie sono preoccupate. “Se” la Turchia “vuole lavorare con l’Europa sulla base dei nostri principi e valori, quello che sta accadendo a Santa Sofia non è un buon punto di partenza”, ha commentato il vicepresidente della Commissione Margaritis Schinas, che “come greco” si è detto “arrabbiato”.

Ma Erdogan continua a rispedire al mittente le accuse in nome della “sovranità nazionale”, pronto a giocare una partita sempre più dura sfruttando un nuovo, potentissimo simbolo: la Grande Moschea di Santa Sofia.

(di Cristoforo Spinella/ANSA)

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