Conte non accetta il veto sulle riforme: “Così non si chiude”

Riunione tra Italia, Spagna, Francia, Germania, Olanda, Consiglio europeo e Commissione europea, prima dell'inizio della seconda giornata di lavori del Consiglio europeo straordinario.
Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte con von der Leyen e Mark Rutte nella riunione del Consiglio europeo e Commissione europea, prima dell'inizio della seconda giornata di lavori del Consiglio europeo straordinario. (Ufficio Stampa Palazzo Chigi)

BRUXELLES. – Non basta una conversazione notturna, al bar dell’albergo, con Angela Merkel ed Emmanuel Macron. E neanche il vertice mattutino a cinque, presenti Pedro Sanchez e soprattutto Mark Rutte. Giuseppe Conte non riesce ad abbattere, nel negoziato europeo, il muro alzato dal primo ministro olandese, spalleggiato dal manipolo di Paesi frugali (Austria, Danimarca, Svezia, più la Finlandia).

Non può accettare che, come Rutte pretende, un singolo Stato abbia il potere di bloccare l’erogazione dei fondi a un Paese che non attui le riforme. Perciò, per evitare che si acceleri verso un’intesa penalizzante l’Italia, decide di mettere sul tavolo tutte le sue armi.

Dichiara di non essere disposto a rinunciare neanche a un euro, perché il negoziato è “molto importante per l’interesse degli italiani, ma anche degli europei”. E mette in discussione, nel bilancio pluriennale, l’aumento dei rebates, sconti cui L’Aja tiene molto e che nelle ultime proposte di mediazione sono addirittura aumentati.

Oltre a lanciare un avvertimento, con un intervento che fonti italiane definiscono “molto duro”, davanti ai 26 colleghi europei: da lunedì bisognerà occuparsi di chi fa “dumping fiscale”, come l’Olanda, o “surplus commerciali”, come anche la Germania.

Rutte chiede a Roma la riforma delle pensioni, a partire da quota 100, e del mercato del lavoro. “Noi – ribatte Conte – abbiamo deciso di affrontare, di nostra iniziativa, un percorso di riforme che ci consentano di correre ma pretenderemo una seria politica fiscale comune, per competere ad armi pari”.

Niente più regimi da paradisi fiscali: l’Italia su questo farà la sua battaglia, avverte. Basta? No, perché come dice una fonte diplomatica italiana “non c’è accordo su nulla finché non c’è accordo su tutto”. E Rutte, che da settembre sarà in campagna elettorale contro il sovranista Wilders, tiene un punto per Roma inaccettabile. La pretesa olandese è che un solo Paese, dopo la convocazione di un Consiglio ad hoc, possa bloccare l’esborso dei fondi europei. Una sorta di veto.

Gli sherpa italiani ottengono che le decisioni vengano prese in tempi rapidi, tre giorni, perché i fondi non vengano tenuti in ostaggio. Ma non basta: il veto di un solo Stato è troppo rischioso. Conte non può accettarlo. E presenta una proposta perché decida sì il Consiglio, ma a maggioranza qualificata (peserebbero di più i grandi Stati, Olanda o Austria da sole non basterebbero).

Ma intanto dalle fila italiane trapela tutto lo scoramento per aver visto gli altri protagonisti cedere alla richiesta olandese di far valutare i piani di riforma nazionali al Consiglio (quindi agli Stati) e non alle istituzioni comunitarie: “Tocca all’Italia difendere la Commissione e il Parlamento…”, osservano da Palazzo Chigi.

Al tavolo della trattativa Conte sembra poter accettare che il peso dei 750 miliardi del Recovery venga leggermente riorientato, aumentando i prestiti (che andrebbero restituiti dal 2026) e riducendo i sussidi: secondo i primi calcoli, l’Italia otterrebbe una cifra complessiva che si aggira comunque attorno ai 170 miliardi.

Ma in una trattativa serrata e altalenante il pacchetto, che include il bilancio pluriennale, a sera appare troppo sbilanciato ancora a favore dei frugali. Il premier italiano è “determinato” a chiudere subito e non rinviare. Sa di poter contare sulla sponda di Macron perché non venga ridotta la cifra complessiva del Recovery.

Ma non può tornare a Roma con l’ombra di una troika pronta a bloccare i fondi. “L’Italia è centrale nel negoziato, non all’angolo”, sottolineavano in mattinata fonti di Palazzo Chigi, ad assicurare che Conte non sta subendo la trattativa. Ma a sera il premier non può che certificare lo “stallo” e un negoziato “più difficile del previsto”.

Chiudere è imperativo, ma l’Italia osserva: Conte questa volta sa che non può sbagliare. Chiudere bene serve ad affrontare con più serenità l’autunno e una decisione sul Mes sempre più imminente. Chissà che non possa essere decisivo il vertice a tre mentre su Bruxelles cala la sera: quello con von der Leyen e con il ‘nemico’ Rutte.

(dell’inviata Serenella Mattera/ANSA)

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