Parata e referendum, la settimana clou di Putin

Il Presidente russo Vladimir Putin durante la sessione plenaria della Duma.
Il Presidente russo Vladimir Putin durante la sessione plenaria della Duma. Immagine d'archivio. EPA/YURI KOCHETKOV

MOSCA.  – Fine giugno a rotta di collo per Vladimir Putin. Mercoledì prossimo (il 24) la Piazza Rossa si riempirà di soldati marcianti e carri armati per festeggiare il 75esimo anniversario della vittoria sul nazifascismo e poi, il giorno seguente, si apriranno le urne per il “voto graduale” che dovrà approvare la riforma della Costituzione, con il traguardo fissato il primo luglio – solo quel giorno si saprà se il popolo russo darà il via libera alla nuova carta fondamentale, che tra le varie cose permetterà allo zar di restare in sella, se lo desidera, fino al 2036.

La suspense, ad essere onesti, non è molta. Il giro di boa è di quelli epocali e gli uomini del Cremlino stanno laborando pancia a terra da settimane per organizzare un referendum senza sorprese. Le polemiche, come sempre, non mancano. L’oppositore Alexei Navalny dice di aver ricevuto prove inconfutabili (pubblicate sul suo sito) di brogli in corso, specie a Mosca, dove è stato autorizzato il voto online anti-Covid.

Per l’ex blogger è in corso una “campagna acquisti” organizzata dalle autorità che spinge i dipendenti pubblici e delle grandi aziende a registrarsi sulla piattaforma di e-voto. E poi votare bene.

Perché Putin, al contrario dello Stalin di Giovannino Guareschi, nella cabina elettorale digitale vede eccome. “Ricordatevi che quando saranno resi noti i risultati del referendum sarà tutta una bugia”, ha ammonito Navalny esortando i russi a “boicottare il plebiscito”.

Ma i tecnici del Cremlino hanno diversi assi nelle manica – ben più subdoli – per orientare il consenso, al di là dei brogli. Tipo il “vota e vinci”. Ovvero premi golosi per chi si registra sulla piattaforma online (e lo dimostra con un codice) o, nel caso della regione di Krasnoyarsk, un quiz sulla Costituzione con in palio 10 appartamenti, 10 automobili e 50 smartphone (i formulari saranno distribuiti “nei pressi dei seggi” nei giorni del voto).  Il che fa capire quanto sia alta la posta in gioco.

Il coronavirus ha infatti scombinato duramente i piani di Putin per assicurare alla Russia una transizione morbida da se stesso a se stesso. Il suo indice di gradimento è il più basso di sempre – al 59% – e il mito di duro duramente compromesso dalla gestione dell’epidemia, affidata ad altri per evitare contraccolpi d’immagine (finendo per apparire isolato e lontano, nella residenza presidenziale di campagna, protetto da tunnel disinfettanti e palizzate di tamponi).

In tutto questo, la crisi economica. Se infatti la gestione dell’epidemia, stando ai numeri ufficiali, pare un successo, con pochissimi morti (ad oggi 7.800 su 146 milioni di abitanti), la risposta all’inevitabile tsunami nei portafogli è meno brillante.

“L’entità dell’aiuto dato ai russi, sia in termini di percentuale del PIL che in termini assoluti, è incomparabile al sostegno disponibile in altri Paesi del mondo”, nota il politologo del Carnegie Andrei Kolesnikov.

“Né le misure sono state attuate in modo rapido o efficace”. Insomma, dopo anni di vacche magre seguite all’avventura crimeana, con redditi in calo e la gloria che inebria ma non paga le bollette, davvero è la mazzata finale.

Non sorprende dunque che Putin abbia fretta di chiudere la partita. Ecco perché, si dice un po’ ovunque, lo zar ha forzato l’uscita dalla quarantena e ha organizzato la doppietta “parata-referendum”, tra ristoranti riaperti e bimbi festanti ai parchetti. Poi si vedrà.

(di Mattia Bernardo Bagnoli/ANSA)

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