L’ira di Trump, nome basi militari non si cambia

La base militare di Fort Bragg in Carolina del Nord, Usa
La base militare di Fort Bragg in Carolina del Nord, Usa. (WBTV)

WASHINGTON.  – L’ira di Donald Trump si abbatte su chi vorrebbe rinominare almeno dieci delle più importanti basi militari degli Stati Uniti, quelle che portano il nome degli “eroi” confederati accusati dai movimento dei diritti civili di rappresentare una storia di schiavitù e razzismo.

E la proposta rischia di far esplodere lo scontro tra la Casa Bianca e il Pentagono, visto che è stato proprio il segretario alla difesa Esper, insieme al ministro dell’esercito Ryan McCarthy, ad aprire alla possibilità di un cambio dei controversi nomi.

“La nostra storia di nazione più grande al mondo non sarà manomessa”, ha twittato il tycoon, garantendo che la sua amministrazione “non prenderà mai in considerazione di rinominare queste magnifiche e mitiche installazioni”. É lo stesso presidente americano a ricordare i nomi delle più famose, da Fort Bragg in North Carolina a Fort Hood in Texas, pasando da Fort Benning in Georgia.

“Queste potenti e monumentali basi sono diventate parte dell’eredità della nostra grande storia – insiste Trump – una storia di vincitori, di vittorie e di libertà. Lì abbiamo addestrato i nostri eroi e li abbiamo schierati in territori sacri, li’ hanno vinto due guerre mondiali”.

L’apertura dei vertici del Pentagono è arrivata sull’onda delle proteste contro il razzismo esplose in tutta l’America per la morte di George Floyd, l’afroamericano morto per mano della polizia. Del resto è da molto tempo che le associazioni per la difesa dei diritti civili chiedono una svolta, come quella di abbattere tutti i simboli confederati, vedi le statue, ricordando come – a differenza del pensiero di Trump – rappresentino una storia di “odio razziale”, una storia di “suprematismo bianco e di soggiogamento della comunità afroamericana”.

L’idea di Esper sarebbe quella di coinvolgere il Congresso per discutere l’ipotesi di un cambio di nome. Ma l’altolà della Casa Bianca appare chiaro dalle parole del presidente, acuendo quella frattura col capo del Pentagono creatasi dopo che questi ha preso le distanze dalla richiesta di Trump di schierare l’esercito contro i manifestanti.

Una presa di distanze esplicitata anche da due generali che hanno fatto parte dell’amministrazione, l’ex segretario alla difesa James Mattis e  l’ex capo dello staff della Casa Bianca John Kelly.

Intanto la Marina militare americana ha deciso di  proibire la bandiera di battaglia confederata dalle sue basi, e da navi, aerei e sottomarini. Una decisione che segue quella già presa dal corpo dei Marine mesi fa. E in mezzo alla battaglia contro i simboli considerati negativi dagli attivisti dei diritti civili finisce di nuovo Cristoforo Colombo.

Una sua statua è stata decapitata a Boston e verrà rimossa. A Richmond, in Virginia, un’atra effige del navigatore genovese è stata abbattuta e gettata in un lago nel corso di una manifestazione per la morte di Floyd.

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