Spesa delle famiglie ferma nel 2019, crolla col Covid

Ristoranti, bar e negozi chiusi in via Condotti, Roma. Immagine d'archivio.
Ristoranti, bar e negozi chiusi in via Condotti, Roma. Immagine d'archivio.(ANSA)

ROMA.  – La spesa delle famiglie italiane era al palo già prima che la pandemia colpisse il Paese. Nel 2019 il totale delle voci in uscita, nella media mensile, si ferma a 2.650 euro. Undici euro sotto il livello dell’anno prima. In termini reali, però, caricandoci su l’inflazione, seppur esigua, la riduzione diventa più tangibile, allontanando il budget dai livelli precedenti all’ormai vecchia crisi. Ora la recessione innescata dal Covid ha effetti immediati, drastici e anche inevitabili, vista la chiusura dei negozi durante il lockdown.

Solo per i primi tre mesi dell’anno l’Istat stima una caduta dei consumi del 4%, che supera il 12% se si fa il conto al netto degli esborsi necessari, supermercato in primis.

D’altra parte il Pil ha subito una contrazione eccezionale, precipitando del 5,3% nei primi tre mesi. Il peggior calo registrato in Europa. Ci fa compagnia solo la Francia. Tutta colpa di marzo, mese in cui il virus è dilagato e il governo ha iniziato a prendere le misure di confinamento per frenare l’accelerazione dei contagi. Anche il mercato del lavoro ha subito una brusca gelata.

Le assunzioni si sono bloccate. Il ministero del Lavoro, che ha in mano le comunicazioni obbligatorie, con cui le aziende informano sui flussi occupazionali, registra nel trimestre una riduzione complessiva del 10,4% sui nuovi contratti, dovuta “esclusivamente” a marzo, che su base annua vede un tracollo del 36,8%. Sicuramente non sono stati fatti più contratti a tempo (-41,9%), specie al Centro-Nord. Cosa che è andata a discapito soprattutto di giovani e donne.  Per lo stesso ministero si tratta di dati che “rispecchiano i primi effetti dell’emergenza sanitaria da Covid-19 e delle misure di contenimento dell’epidemia adottate”.

Tutto questo è accaduto in un Paese già affetto da una stagnazione logorante. Di fronte a cui le famiglie sono rimaste prudenti, non allentando i cordoni della borsa. Anzi, “stringendo la cinghia”, sentenzia l’Unione nazionale dei consumatori, secondo cui a prezzi fermi il taglio è stato di 322 euro annui. Se su cibo e salute non si può agire più di tanto, nel corso del 2019 una fetta non trascurabile degli italiani ha invece limato gli esborsi su abbigliamento – ha proceduto in questo senso il 45,1% – e vacanze.

Fin qui le medie, ma la situazione cambia dal Nord al Sud, la differenza è di 780 euro, e a seconda del reddito, con il quinto più ricco delle famiglie che ha una spesa di cinque volte superiore alla fascia più povera. L’Istat fa notare che qualche tempo fa i divari erano ancora più forti. Ma, guardando più in là, è noto come le crisi non aiutino a ricucire certe distanze.

E non sono queste le uniche: i nuclei composti da soli stranieri hanno budget di mille euro inferiori. Colpisce poi la forbice imposta dal titolo di studio: si passa dai 1.678 euro mensili delle case in cui la persona di riferimento ha al massimo la licenza elementare ai 3.587 euro di quelle che possono vantare la laurea.

C’è poi un capitolo che sottrae ingenti risorse ed è l’abitazione, se sei in affitto, lo è uno su cinque, ogni mese c’è l’appuntamento con una retta media di 412 euro. Se invece c’è da pagare un mutuo, la rata sale a 545 euro, ed è così per 3,7 milioni di famiglie. Cifre che da sole tolgono margini alle finanze degli italiani. Posto che ci sono 464 euro che se ne vanno per l’alimentare difficilmente comprimibili, si va dai 76 euro di pane e pasta ai 14 di caffè.

Di fronte alla contrazione stimata dall’Istat, per Coldiretti è ormai chiaro che i consumi degli italiani torneranno “indietro di 20 anni, precipitando su valori comparabili a quelli dei primi anni 2000”. E questo pure se per i prodotti della tavola non si risparmierà.

Molto dipenderà da come reagirà il mercato del lavoro. Al momento i provvedimenti del governo hanno come sedato il sistema. Addirittura a marzo le cessazioni di rapporti di lavoro, licenziamenti inclusi, scendono nonostante tanti abbiano lasciato per pensionamento (+152% nel trimestre), effetto degli anticipi trainati da Quota 100.

(Marianna Berti/ANSA)

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